Recensione: Constellation of the Black Light
C’è grande fermento in casa Tuomas Saukkonen, e non poteva essere altrimenti per un personaggio che possiamo definire come un supereroe della scena musicale estrema degli ultimi anni. Un polistrumentista che ha generato e capitanato molte band prima di concentrarsi esclusivamente sulla sua proposta definitiva: i Wolfheart. I suoi primi due album in studio con il nuovo moniker li possiamo definire come lavori solisti, una one man band insomma, ma è dal terzo album, intitolato ”Tyhjyys”, che il progetto assume le sembianze di una vera e propria band. Da quel momento in poi le cose cambiano sotto ogni aspetto: musicalmente viene raggiunto un livello di maturità superiore e la dimensione di un vero e proprio gruppo musicale ne facilita la diffusione, migliorando l’immagine e allargando il bacino di potenziali fan. Tutto questo ampliamento non poteva che essere sostenuto da un nuovo e importante contratto discografico con la prestigiosa Napalm Records.
La nuova grande scommessa del gruppo finlandese si intitola ”Constellation Of The Black Light”. Le registrazioni sono state fatte presso gli storici Petrax Studio che hanno partorito molti lavori di band come Children of Bodom, Ensiferum, Nightwish e Korpiklanni. Per le parti orchestrali sono stati coinvolti alcuni membri della band finlandese Shade Empire, che contribuiscono con la loro grande esperienza nel campo. Come vediamo, tutto questo preannuncia un lavoro colossale e fondamentale nell’evoluzione di questa band, che dichiara a tal proposito:
Determinazione e perseveranza sono stati i punti chiave nella realizzazione di questo album, superando ostacolo dopo ostacolo durante il processo delle registrazioni, mentre la freddezza e la bellezza dell’inverno erano i temi cardine della musica in esso contenuta. Questo è sicuramente un trionfo nella carriera dei Wolfheart, e una delle più grandi battaglie vinte nella nostra carriera. Non potremmo essere più soddisfatti del risultato: con la nuova etichetta ed il nostro management siamo convinti di poter rimanere a lungo vittoriosi.
Vediamo innanzitutto come tutta questa grinta e determinazione viene tradotta in un contesto narrativo.
Il titolo dell’album è incentrato sul concetto di dualità e del paradosso cosmico. La costellazione in sé è piena di paradossi, che invitano a profonde riflessioni sia scientifiche ma sopratutto filosofiche. In primis perché due o più stelle che sulla sfera celeste appaiono lontanissime tra di loro, nello spazio tridimensionale, invece, possono essere al contrario molto vicine, e viceversa. Poiché il significato stesso della costellazione ha un senso solamente se viene considerato da un’unica visuale, un unico punto di vista, come, nel nostro caso, quello del pianeta Terra. Ad esempio, durante un ipotetico viaggio interstellare non riusciremmo più a identificare alcuna costellazione, e ogni sosta vicino a qualunque stella ce ne farebbe identificare di nuove, visibili solo da tale nuova prospettiva. L’oscurità lucente, invece, fa pensare alla materia oscura che compone più del 90% dell’universo. La restante parte, il meno del 10%, dalla luce, cioè la materia, è quella che genera pianeti, mondi e vita, plasmando l’oscurità stessa. Infatti, senza l’oscurità, la luce non avrebbe senso, oltre al fatto che probabilmente non potrebbe nemmeno generarsi. Tutto questo ci proietta verso una dimensione che va ben oltre il classico bianco e nero, oppure un’eterna lotta tra il bene e il male. In termini più terrestri e vicini a noi, possiamo paragonare tali concetti con il perpetuo susseguirsi della vita e della morte. Il pensiero della morte come la condizione che è in grado di risvegliare l’uomo dal suo torpore spirituale quotidiano. Non è tanto la morte in sé a suscitare una seria consapevolezza della nostra vita e del tempo che ci è stato in essa affidato, quanto piuttosto il pensiero della morte che diventa angoscia e che funge come spinta di tutta la nostra esistenza. È forse opportuno vedere in questa morte che dà la vita il segno del paradosso, segno che non deve essere visto in negativo, non deve solo essere il simbolo di una contrapposizione, ma deve assolutamente recare in sé il germe della speranza; il paradosso non va quindi considerato come posizione inconciliabile in un’accezione che per secoli è stata sentita come negativa, ma piuttosto come compendio dell’esistenza stessa, come una specie di costellazione dell’oscurità lucente, appunto.
Musicalmente ”Constellation Of The Black Light” è un’evoluzione anziché rivoluzione rispetto al precedente album ”Tyhjyys”. Il brano d’apertura ‘Everlasting Fall’ è letteralmente un’autentica e mastodontica opera d’arte musicale. Racchiude in se tutte le sfumature compositive dei Wolfheart: tanta atmosfera creata dagli strumenti acustici, la sinfonia caratterizzata da suoni orchestrali, e ovviamente un Melodic Death Metal da manuale. Il cantato growl di Tuomas Saukkonen risulta essere ispirato, emozionale e molto coinvolgente. Apprezzabile la struttura compositiva di questo lunghissimo brano che supera i dieci minuti di tempo, dimostrando la grande capacità di comporre musica del gruppo finlandese. I due brani successivi ‘Breakwater‘ e ‘The Saw’ sono usciti entrambi come singoli, accompagnati da bellissimi videoclip per promuovere la pubblicazione dell’album. Il primo molto diretto e tipico del loro repertorio, il secondo più evocativo e pieno di atmosfere, che richiamano il gelido nord Europa. Il brano successivo, ‘Forge with Fire‘ , è un tipico brano melodeath di scuola scandinava, un eccellente compito portato a casa. La canzone è caratterizzata da una malinconia di fondo, tanta orchestrazione e un buon mix tra la potenza del metal e la dolcezza del pianoforte. Con la successiva ‘Defender’ i Nostri cercano, in parte, di esplorare territori del Modern Molodic Death Metal, strizzando l’occhio agli ultimi In Flames, il risultato finale è un mid-time con delle blande accelerazioni e un riff moderno e deciso che accompagna l’intero pezzo. Il tutto rende questo passaggio meno evocativo rispetto al resto dell’album, ma dimostra come i Wolfheart siano in grado di comporre anche delle tracce da un sapore più fresco e innovativo. Con ‘Warfare’ torniamo a sonorità tipicamente “nostre”, dove l’apertura è affidata a un intro d’impatto della batteria, che va a mille, con una precisione chirurgica e un’esecuzione magistrale. La canzone è caratterizzata da un mix tra il Death ed il Black Metal, un connubio molto presente sopratutto nel loro album precedente. Un brano a dir poco epico e tragico, che ha tutte le caratteristiche di una colonna sonora targata Wolfheart. In chiusura troviamo ‘Valkyrie’ un autentico gioiello compositivo che porta il significato estremo del Death Metal a nuove vette e nuovi territori. Un brano enigmatico ed ermetico, che cattura l’ascoltatore, trasportandolo con ipnotiche melodie in un mood rappresentato dalle infinite foreste innevate e maestose montagne, a riportare in vita quei tipici colori invernali composti prevalentemente dal bianco e dal nero. Torniamo così all’eterno concetto della dualità e del paradosso: il bianco è composto da tutti i colori ma resta acromatico, il nero è un colore intenso ma considerato invece un pigmento senza alcun tono. Gli opposti che non esisterebbero l’uno senza l’altro, come il giorno e la notte, il bene e il male e, infine, la vita e la morte, che generano un’intensa e arcana: ”Constellation Of The Black Light”.
Con questo immenso lavoro i Wolfheart portano avanti la loro essenza musicale, rappresentata da un misto di più generi come il Death, il Black, il Folk ed il Doom Metal. il tutto avvolto da un denominatore comune che è la melodia. Un album che piacerà sicuramente agli amanti delle sonorità citate poc’anzi, ma potrebbe attirare anche i meno avvezzi, sopratutto per le sue armonie e atmosfere molto ricercate e ispirate. Dal punto di vista produttivo siamo ai massimi livelli: il missaggio, la qualità del suono e sopratutto la bravura esecutiva di tutti i membri del gruppo è fuori discussione. Una vera delizia di competenza, messa a disposizione di un ottimo livello compositivo e assolutamente mai fine a se stessa. Sottolineiamo anche il bellissimo e suggestivo artwork realizzato per la copertina dell’album. Tutto questo esprime un pregio probabilmente più importante e prezioso di una composizione musicale, quello di creare più livelli e strati d’ascolto, così da poter scovare un elemento sempre nuovo a ogni passaggio, dando una longevità pressoché infinita a questa opera musicale, proiettando questo lavoro lontano nel tempo e nello spazio.
Vladimir Sajin