Recensione: Continuum Of Absence
Ci sono band che esistono ma che in realtà è come se non esistessero, spesso per la propria scelta di restare nell’anonimato più assoluto, altre volte perché le tempistiche tra i lavori sono talmente ampie da farne perdere tracce e memoria. Non c’è bisogno di citare band come Necrophagist e Pavor per intenderci, che hanno cadenze (anche) decennali tra un album e il suo seguito. Sarà pura coincidenza che le citate act hanno in comune con gli Ingurgitating Oblivion la nazione e lo stile che si aggira su un ‘tecnico’ death metal, cervellotico e ricercato?
Parto da zero per quanto riguarda il quintetto proveniente dalla Bassa Sassonia, nato nel 2001, ma attivo già dal 1997 col nome Of Trees And Orchids, nel quale militavano 4/5 della band attuale, alla quale si è aggiunto il bassista Christian Pfeil nel 2004 in sostituzione dell’originario Henning Dinkla. L’anno successivo la band pubblica il primo disco “Voyage Towards Abhorrence”, e da allora, in quasi dieci anni, solo un demo e uno split ci hanno ricordato che la band c’è (ma non c’è).
Ma non è il caso di perdere le speranze, ed ecco che arriva l’annuncio del disco “Continuum Of Absence”, che non fa che confermare la sensazione della loro assenza, dovuta alla stesura e registrazione di questo secondo capitolo, anche se con le ‘loro’ tempistiche. Immergersi in un lavoro del genere significa resettare ogni punto di riferimento musicale e non, e cercare di entrare a stretto contatto con la pura follia, la pazzia e la ricerca che si cela dietro un disco del genere, tanto complesso quanto affascinante.
Perché in cinquantuno minuti gli Ingurgitating Oblivion riescono a fondere tre capisaldi dell’intero panorama estremo: Morbid Angel, Immolation e Gorguts vengono a trovarsi tanto vicini che loro stessi non potrebbero immaginarlo. La band imbastisce un lavoro ipnotico che si addentra nelle varie sfaccettature del death metal, distruggendolo con delicatezza e aggiungendo colori e sfumature ogni volta nuove, che catturano l’interesse secondo dopo secondo. In più si denota un’intrigante presenza di compositori romantici e contemporanei al suo interno, che vanno dal teutonico Wagner al romeno Ligeti.
Il disco trova il giusto riconoscimento nella sua interezza, data la mole di materiale presente al suo interno, che, una volta ‘presentato’ all’ascoltatore, varia, si trasforma, si evolve in nuove cellule che a loro volta ne creano altre, e così via, fino a raggiungere apici di genialità mista a follia totale. Perché solo menti deviate possono pensare di produrre un disco del calibro di “Continuum Of Absence” dove tutto diventa matematico (ma sempre vivo, non computeristico), perfetto, in ogni dettaglio, con la voce di Kreienbrink che va a toccare mondi sotterranei, spesso imponendosi sotto forma di Dolan o del ‘primo’ Vincent. Doom, death, atonalità e psichedelia vanno di pari passo intersecandosi, unendosi e abbandonandosi verso un unico obiettivo, quello di lasciare esterrefatto chi s’immerge in questo vortice.
Sta poi a voi decidere se risalire o lasciarvi inghiottire: nel primo caso dovete munirvi di tanta pazienza e cercare di entrare a stretto contatto con l’idea del quintetto, ed è a mio avviso una prova di forza non indifferente per chi è ‘preparato’ e sa godere di lavori complessi. Nel secondo caso, qualora abbandoniate il timone prima dell’ultimo respiro, vi consiglio di ripassare su questo disco tra dieci anni, intanto continuate a fare la gavetta su lavori più ‘leggeri’.
Disco per pochi (purtroppo)…ma buoni.
Capolavoro!
Vittorio Sabelli
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