Recensione: Corpsegrinder
Forse sbaglio, forse no, ma nella maggior parte dei casi anche l’occhio vuole la sua parte. In un prodotto discografico, ovviamente, l’elemento più importante è la musica, e ci mancherebbe altro; quando però ho iniziato ad acquistare dischi il concetto di musica liquida probabilmente non esisteva nemmeno nei sogni di Steve Jobs, Bill Gates e colleghi. L’ascolto della musica, a quei tempi, non si limitava al puro godimento sonoro. L’esperienza iniziava con i lunghi viaggi in treno verso i migliori negozi e culminava con l’acquisto di quel CD, o di quella cassetta, che ben presto smettevano di essere semplici supporti fonografici; dopo innumerevoli ascolti e altrettante pagine di booklet esaminate, i dischi si trasformavano in qualcosa di molto simile ad un oggetto di culto. Per farla breve, insomma, sono molto contento dell’inaspettato ritorno dei supporti fisici: la ricomparsa in pompa magna dei vinili, ad esempio, dimostra in modo concreto che un disco, quando viene privato delle sue componenti tangibili, inevitabilmente perde qualcosa. Sembrerà strano ma tutti questi ragionamenti sono nati dal semplice esame della copertina di “Corpsegrinder”, recente pubblicazione Death Metal in cui a farla da padrone è, per l’appunto, George ‘Corpsegrinder’ Fisher, arcinoto cantante degli storici Cannibal Corpse.
In mancanza di una copia fisica, di un booklet del CD da sfogliare o anche solo di un disco di silicio da tenere fra i polpastrelli, ci si deve accontentare: vedere una truculenta illustrazione ispirata al cinema di genere di qualche decennio fa, senza un’evidente abuso di computer grafica, è già una cosa che mi scalda il cuore. Ad aumentare il mio gradimento si aggiungono poi altre due caratteristiche dai toni goliardici: innanzitutto, il fisico di Fisher è stato ritratto un po’ più tonico e ‘in forma’ rispetto alla realtà, mentre il volto, e soprattutto il notissimo collo taurino, sono stati riprodotti molto fedelmente. Il dettaglio del collo mi ha messo subito nella giusta predisposizione per procedere con l’analisi del disco: è evidente come lo stesso Corpsegrinder e tutte le persone coinvolte nel progetto siano assolutamente ben informate riguardo all’epicità di cotanto gozzo…tanto da mantenere inalterata questa caratteristica nella copertina dell’album. Questo non può che significare, in altre parole, che alla base dei 10 brani di “Corpsegrinder” c’è una gran voglia di non prendersi troppo sul serio: da che mondo è mondo questo atteggiamento scanzonato produce quasi sempre risultati pregevoli.
Ad un primo ascolto il Death Metal proposto nel disco suona piuttosto old school, e francamente non potrebbe essere altrimenti: la voce del corpulento George Fisher è una delle più riconoscibili nella scena Death globale. Non è umanamente possibile sentirne il caratteristico growl senza che la memoria venga immediatamente riportata ai padrini Cannibal Corpse, con i quali il cantante milita dal 1995. Una volta ripercorsa con attenzione la tracklist, però, bisogna ammettere come l’album solista del Nostro non si limiti a scopiazzare brutalmente la nutrita discografia della band di provenienza. Nonostante la comparsata nel primo brano “Acid Vat” dell’attuale chitarrista dei Cannibal Corpse, Erik Rutan, l’ossatura Death ‘classica’ di “Corpsegrinder” risulta spesso contaminata da riff e ritmi che potrebbero tranquillamente venire tagliati e incollati in una canzone degli alfieri dell’Hardcore/Metalcore americano Hatebreed, tanto per fare un nome a caso. Ma quale caso, suvvia: il buon Jamey Jasta, noto cantante dei suddetti, altro non è che il produttore del debutto discografico solista di George Fisher. Si deve considerare oltretutto che non si tratta nemmeno della prima volta in cui Jasta e Fisher si ritrovano a collaborare. Una prima avvisaglia in questo senso, ahimè non molto riuscita, risale al 2019: nell’album “The Lost Chapters – Vol. 2”, pubblicato da Jasta in versione solista, Fisher viene selezionato per impreziosire la canzone “They Want Your Soul”, prima traccia del disco. Basti sapere che con “Corpsegrinder” il livello raggiunto dalla cooperazione tra i due musicisti sale parecchio…se poi i lettori curiosi non dovessero proprio resistere, le coordinate per rintracciare la succitata canzone sono disponibili qui. Insomma, le collaborazioni con il frontman degli Hatebreed stanno diventando pane quotidiano per il nostro Corpsegrinder, ancora elettrizzato per aver preso parte nel 2021 alle registrazioni del bellissimo “Leave a Scar” di Sua Maestà Dee Snider. A dimostrazione che il mondo talvolta è piccolo, soprattutto quando si parla di prodotti discografici di successo, è giusto ricordare alcune curiosità. In primis, esattamente come per “Corpsegrinder”, la produzione di “Leave a Scar” vede la firma di Jasta e del batterista Nick Bellmore, che guarda un po’ è proprio il batterista scelto sia per animare i brani di “Leave a Scar” che le 10 tracce di “Corpsegrinder”. Tanto per completare il ritratto di famiglia possiamo anche accennare al chitarrista/bassista selezionato per l’occasione: trattasi di Charlie Bellmore, fratello del batterista e anche lui presente nella formazione di “Leave a Scar”. Con una simile line up è praticamente impossibile presentare agli appassionati un disco mediocre…e infatti “Corpsegrinder” si rivela un buon prodotto, sufficientemente vario e in definitiva piuttosto godibile. I 31 minuti del disco scorrono piacevolmente, tra le accelerazioni smodate di “Acid Vat”, i rallentamenti oppressivi di “On Wings Of Carnage”, l’aggressività di “Vaguely Human” e le pesanti virate Hardcore di “Crimson Proof”, uno dei brani più sorprendenti del lotto. Non tutte le tracce riescono ad essere altrettanto entusiasmanti, come nel caso di “Defined By Your Demise”, ma si tratta di episodi molto rari sparsi tra i solchi di un’opera solida e coerente. Sia chiaro: non parliamo di un capolavoro né di una pietra miliare, ma se tutti i nuovi dischi in ambito Death Metal fossero divertenti e spensierati come questo, sarebbe davvero un guaio riuscire a selezionare efficacemente gli ascolti. Lasciate pertanto nelle vostre playlist ampio spazio ai brani del buon George ‘Corpsegrinder’ Fisher: senza dubbio vi regaleranno qualche soddisfazione. Buon ascolto, e ricordatevi: Respect The Neck!