Recensione: Corruption of Innocence
“Welcome to the Room of Innocence and Corruption”
Vanadium, Backbone of Society.
La frase sopra riportata introduce la penultima fatica antecedente al primo scioglimento del quintetto milanese, “Corruption of Innocence”. Trattasi del quinto disco in studio, sesto in totale, dei Vanadium, ultimo lavoro sotto le insegne della storica casa discografica (per la band, beninteso) Durium Records, destinata a fallire di lì a poco. Questo è forse l’album meno chiaccherato (e già la dice lunga) e conosciuto del nostrano combo (nonostante ai tempi abbia consolidato non poco l’impatto europeo di Scotto e soci, dopo il boom di Born to Fight), ma Corruption merita secondo me molte più attenzioni di quelle che gli sono in genere dedicate, poiché lo reputo davvero niente male. Pino e compagni hanno già modificato in maniera piuttosto marcata il loro stile musicale, passando dagli esuberi musicali dei primi lavori a un qualcosa di nettamente più controllato, con le melodie e, volendo, le atmosfere, nettamente più in risalto rispetto alla violenza sonora. Tutto questo mantenendo però il livello delle loro produzioni decisamente alto, e sicuramente non etichettabile in altra maniera che non sia Hard Rock. Corrutpion of Innocence è proprio questo, un Hard Rock spesso molto controllato, che si rifà alle sonorità e ai look delle contemporanee rock band che facevano fortuna al di là dell’Atlantico (basti vedere la copertina e il look dei 5 artisti, molto Bon Jovi Style, tanto per essere chiari), ma che tuttavia non rinuncia del tutto ai fasti di un ormai storico passato. Musicalmente c’è ben poco da dire, siamo di fronte al trionfo dei mid tempo, che anche solo in numero soverchiano lenti e speed-track . Tanti passaggi sono non dico scontati ma comunque prevedibili, eppure la band riesce a dare un imprinting che in quasi tutti i casi li rende esaltanti e sicuramente non marginali. Tecnicamente questo prodotto è tutt’altro che male : la novità più importante viene di sicuro dalla registrazione, da sempre il punto a sfavore dei Vanadium. In Corruption invece questa è, seppur non certo ottimale, almeno decente, questo grazie all’innesto dell’ottimo produttore statiunitense Jim Faraci, già produttore di band storiche quali Ratt, Poison e Guns’n’Roses, uomo che probabilmente ha spinto non poco verso l’americanizzazione del sound dei Vanadium (metamorfosi che comunque era già avviata da un po’). Questa nuova veste qualitativa aiuta non poco a far risaltare dei pezzi che altrimenti sarebbero potuti tranquillamente finire in disgrazia. Tecnicamente invece siamo sempre lì, i quattro strumentisti se la cavano egregiamente (nonostante si evidenzi una marcata schematizzazione del songwriting, molto più che in passato), capeggiati a mio avviso da uno Zanolini sempre più importante all’interno delle opere del combo. Tessarin coi suoi riff mai fuori posto governa i tratti più possenti del disco, Mimmo e Lio fanno il loro dovere di improntare i ritmi sui giusti binari. Pino si controlla, è più pulito del solito come timbro vocale, ed è a mio avviso solo discreto (rispetto ai suoi stantard), perché seppur esente da pecche che non siano quelle che si possono riscontrare in tutti i dischi (ogni vocalist ha i suoi piccoli difetti), alterna momenti in cui il suo cantato è perfettamente integrato nel contesto della canzone ad altri in cui oggettivamente stona (nulla di male comunque). L’unica cosa rimasta da fare è dare un ascolto all’album, che si compone di 9 tracce per una durata complessiva poco meno di quaranta minuti. La capolista è la più che buona “Backbone of the Society”, mid tempo molto ben calibrato che riassume tutti i contenuti del platter. Abbiamo infatti dei riff non esagerati ma efficaci dalla chitarra elettrica, accompagnati da tastiere come non se ne erano sentite (anche in stile) fino ad ora nei Vanadium. Il cantato si discosta molto dal suonato durante le strofe, ottimo invece nel ritornello, anche grazie alle backing vocals. La melodia la fa da padrona e culmina nell’assolo di Tessarin, in fondo il protagonista di questa opener, bella ma a tratti ripetitiva. Molto più futuristica ci si mostra invece “Down’n’Out (Broken Inside)”, che ricorda, con una produzione più moderna e una velocità leggermente inferiore, lo stile di alcune tracks di perle quali Game Over. Anche qui dominano i tratti melodici, governati da un cantato ottimamente impostato. Molto coinvolgente il refrain, con buon affiatamento fra voce primaria e voci di fondo. Un pressante basso ci porta rudemente nel cuore di “Gimme So Much”, secondo mid tempo su tre, forse il più cupo di tutti, proprio grazie ad un Prantera in stato di grazia. Vale più o meno il discorso fatto per l’opener, rispetto alla quale i riff sono più semplici, senza poi contare un ritornello a mio avviso molto più banale di quello di Backbone. Speciale invece l’arpeggio che introduce la titletrack, una sfuriata che fa, questa completamente, ripensare ai fasti del passato. La chitarra è tiratissima, e tutti gli strumenti la seguono come ai vecchi tempi, keyborads in primis. Bellissime le parti strumentali, una gioia per le orecchie. Molto bella anche “Winds of Destruction”, che evidenzia un ottimo uso dell’elettronica, soprattutto nelle sue fasi iniziali. Il tutto sfocia, come può capitare, nella velocità, una velocità però non irruenta ma piuttosto contenuta in potenza sonora e, soprattutto, elegante. Incredibilmente purpleiano il lavoro di Zanolini nella sesta “Talk to the Town”, pezzo ove il baffuto tastierista dimostra ed esprime tutte le sue ispirazioni musicali. Questo è forse il dettaglio più importante, che impreziosisce un brano che altrimenti non avrebbe avuto molto altro da dire (non per nulla la reputo il pezzo debole dell’album). C’è tempo anche per un lentone, che si concretizza nella buonissima “Images”, dotata di una splendida melodia e di un gran bell’arpeggio. Ottime anche le rifiniture della 6 corde per un pezzo che, oltre ad essere estremamente godibile, dà anche un sano break in vista del rush finale. Torniamo al mid tempo, anche se decisamente spinto, alle note di “Dangerous Game”, che segue, ne più ne meno, gli schemi di tutti i mid tempo precedenti. Voce e strumenti sono molto ben affiatati, ma un minimo di varietà in più non avrebbe certo guastato. Chiude il sipario “Over the Limit”, forse il lavoro registrato meglio del lotto. La potenza sonora di questa canzone non rapida (oh, lo avevo detto che era il trionfo del mid tempo) ma molto pressante non è male, sicuramente è una delle tracce dal sound più deciso di tutti. Belle le rifiniture di tastiera, sempre uguali ma che per questo non devono essere meno belle, e che quindi danno un maggior tono alla closer di “Corruption of Innocence”, disco che alla prova del nove lascia un pò divisi a metà. Sicuramente non è all’altezza dei precedenti capolavori targati Vanadium, altrettanto evidente è che questa ricerca di sonorità melodiche e curate (Pomp Aor più che Hard’n’Heavy in alcuni casi) può far storcere il naso ai puristi del genere, però è altrettanto vero che queste altro non sono che le prove generali di quel grandissimo prodotto che uscirà due anni dopo e che di nome farà “Seventheaven”. Quindi, anche se è vero che siamo in fase di transizione, è altrettanto vero che il nome sulla copertina parla chiaro, ed è garanzia di sicura qualità. Ameno che non siate solo fan dell’headbanging più sfrenato, date un paio di ascolti a Corruption of Innocence, perchè li merita.
Riccardo “Abbadon” Mezzera
Tracklist :
1) Backbone to Society
2) Down’n’Out (Broken Inside)
3) Gimme so Much
4) Corrupted innocence
5) Winds of Destruction
6) Talk of the town
7) Images
8) Dangeous Game
9) Over the Limit