Recensione: Cosmic Genesis
Dopo il precedente Odemarkens Sons, ecco l’album che rappresenta un po’ un punto di svolta per il sound del progetto solista di Vintersorg. Il primo dato che salta subito all’occhio leggendo i titoli delle canzoni, e subito dopo all’orecchio appena si inserisce il cd nel lettore, è che ora la maggior parte delle song sono in inglese.
Dal punto di vista invece del sound abbiamo un parziale abbandono del folk-viking che aveva contraddistinto i primi due album, da questo momento in poi si punta verso un sound più leggero con la predominante della voce pulita e vari rimandi anche al buon vecchio heavy metal degli anni ottanta che Vintersorg ha sempre ammesso di amare particolarmente.
Naturalmente passaggi pesanti e pestati non sono stati dimenticati, anzi, un esempio è il fatto che le chitarre acustiche sono praticamente scomparse in questo album, mentre su Odemarkens Sons erano spesso usate. Al contrario parti epiche e di stile più black, sono probabilmente anche più incisive che in passato. Vuoi per la scelta di suonare questi brani sotto a una voce pulita molto melodica, creando quindi un forte contrasto tra la voce e la musica che la accompagna. Ma soprattutto anche grazie a una migliore produzione e ad arrangiamenti decisamente sopra la media.
Una decisa novità rispetto al passato riguarda anche l’uso delle tastiere, che in questo disco si prendono uno spazio all’interno dell’economia del song-writing decisamente preponderante. Vintersorg, da sempre appassionato di astrofisica e astronomia calca con questo disco l’acceleratore sulle tematiche cosmiche con song che già dal titolo ci fanno pensare alle stelle, ai pianeti e alle immensità dello spazio. Per questo motivo sarebbe probabilmente sembrato un po’ strano cantare di quasar e supernove rimanendo attaccati a sonorità folk. Ecco che quindi accanto al sound tipico dei primi due album troviamo quindi anche esperimenti affidati alle tastiere con effetti particolari, quasi “elettronici” come in alcuni ritmi proprio della title-track oppure parti recitate con la voce filtrata come in Ars Memorativa.
Una menzione particolare è sicuramente dovuta alla settima traccia, Rainbow Demon, unica cover presente all’interno dell’album e di cui nei primi due o tre ascolti non mi sono accorto. Si tratta ovviamente della canzone degli Uriah Heep, ma se non si va a guardare la tracklist e i crediti del disco non è facile accorgersene. Il riarrangiamento fatto da Vintersorg per questa canzone l’ha resa così simile al sound del resto del disco che è difficile riconoscerla come un pezzo esterno, e questo secondo me è un punto positivo. Personalmente penso sia abbastanza inutile suonare una cover se si cerca soltanto di renderla il più simile all’originale possibile (a meno che ovviamente non si tratti di una cover band), al contrario più si interiorizzano le song e le si rendono proprie, le si suona nel proprio stile, più è facile che vengano fuori dei brani particolari e apprezzabili.
Dal punto di vista della struttura delle canzoni non ci sono grosse novità rispetto agli album precedenti, nonostante lo stile sia cambiato, il song-writing è rimasto legato al passato. Troviamo quindi canzoni che cambiano molto l’una dall’altra ma relativamente semplici al loro interno, sempre che la parola semplice possa essere accostata a una qualsiasi delle cose che fa Vintersorg. Per intenderci già dal successivo Visions from the Spiral Generator la struttura di ogni singola canzone sarà più elaborata, più varia, anche grazie all’introduzione di una componente prog che in questo disco viene solo lasciata intuire. Si sente che il sound è probabilmente destinato a evolvere in quella direzione, ma per il momento si punta a un suono più epico, più evocativo.
Per dare un giudizio di questo album anche all’interno della discografia del progetto solista di Vintersorg, rispetto ai dischi che lo hanno preceduto e seguito, potremmo dire che Odemarkens Sons rappresentava la terra, con i suoi suoni folk e talvolta oscuri. Tocca poi a questo Cosmic Genesis, che è la colonna sonora di chi si trova di fronte alla vista dell’universo con i suoi pianeti e le sue stelle, una visione grandiosa, straordinaria, impressionante, che atterrisce per il ruolo minuscolo che l’uomo occupa in un disegno tanto grande. Tutto questo necessita quindi un suono epico, marziale, evocativo, trascinante, come è appunto questo album. Il viaggio poi continua con Visions from the Spiral Generator, e gli album successivi, inoltrandoci verso la composizione dell’universo, come un documentarista che volesse spiegarci come sono fatti i buchi neri o le stelle, allo stesso modo Vintersorg forgia un sound più elaborato, complicato, per mostrarci l’effettiva complessità di ciò che stiamo vedendo.
Per concludere io sono convinto che sia un album da avere assolutamente, come d’altronde tutta la discografia di Vintersorg, ma di fronte a dischi come questo, o i successivi del suo progetto solista, non esistono etichette di stile. Si tratta solo di grandi dischi che travalicano i generi mescolando al loro interno le influenze più disparate, ma sempre con un orecchio e un gusto eccezionale per la melodia.
Tracklist:
01 Astral and Arcane
02 Algol
03 A Dialogue with the Stars
04 Cosmic Genesis
05 Om Regnbagen Materialiserades
06 Ars Memorativa
07 Rainbow Demon
08 Naturens Galleri
09 The Enigmatic Spirit
Alex “Engash-Krul” Calvi