Recensione: Cosmic Ritual Supertrip

Di Matteo Pedretti - 20 Settembre 2020 - 0:05
Cosmic Ritual Supertrip
Etichetta: Heavy Psych Sounds
Genere: Stoner 
Anno: 2020
Nazione:
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77

I Black Rainbows si formano nel 2005 a Roma e nel 2007 danno alle stampe “Twilight in the Desert”, primo assaggio di quel fuzz metal/rock cosmico a cui ci abitueranno negli anni, ben prima che il revival heavy psych e hard rock settantiano si imponesse come uno dei fenomeni più dirompenti nell’underground dell’ultimo decennio.
Lo scorso maggio la band ha rilasciato “Cosmic Ritual Supertrip”, ottavo tassello (considerando anche l’EP “Holy Moon”) di quel mosaico caleidoscopico che è la propria discografia, che ne conferma ulteriormente lo status di alfieri di primissimo piano della scena stoner europea (come dimostrato anche dalla partecipazione al Freak Valley Festival e ai Desert Fest).

Per sfornare un buon disco non sempre è necessario doversi inventare a tutti i costi qualcosa di nuovo. A volte personalità, coerenza, abilità di esecuzione e capacità nel songwriting sono i soli elementi che contano e di cui certamente non difetta Gabriele Fiori (voce e chitarra, nonché mastermind del gruppo). In questo “Cosmic Ritual Supertrip” ritroviamo quella contaminazione acida tra stoner anni Novanta (Fu Manchu, Monster Magnet, Kyuss e Nebula), psichedelia settantiana e space rock (Hawkwind) che ha reso grande il sound della band, così come influenze doom e occult rock che, sebbene già presenti in passato a un livello più latente, vengono qui palesemente sviscerate. Una miscela perfettamente rappresentata visivamente dall’artwork del disco ad opera di Robin Gnista.
Nei suoi 40 minuti “Cosmic Ritual Supertrip” si dimostra sfaccettato e capace di tenere alta l’attenzione dell’ascoltatore grazie all’alternarsi di registri, atmosfere e colori. L’opener “At Midnight You Cry” e “Master Rocket Power Blast” sono veloci cavalcate stoner metal, stilisticamente non lontane dagli ultimi lavori degli Orange Goblin.
Universal Phase“, “Isolation e Sacred Graal (closer)” sono dei macigni stoner/doom, perlopiù lenti e quadrati, con riff di chitarra pesantemente ribassati, distorti e cadenzati e alcuni passaggi dai sapori southern (Isolation). “Radio 666” è orecchiabile e ammiccante, uno space-rock dalle tinte occult capace di rivaleggiare con i migliori Uncle Acid & the Deadbeats.

Nella seconda parte dell’album i Black Raibows sembrano guardare maggiormente al proprio back catalogue. “Hypnotized by the Solenoid“, titolo calzante alle atmosfere evocate dal brano, offre dilatazioni sonore e un assolo di chitarra lisergico che occupa quasi interamente la seconda metà del pezzo. “Glittereyzed” procede su un riff ripetitivo e ipnotico, risucchiando l’ascoltatore in un vortice di colori. Più convenzionale, ma non per questo meno interessante, “Snowball“: un hard rock diretto con assoli heavy blues che chiama in causa la scuola svedese (Graveyard, Horisont). Nella versione CD c’è spazio per due bonus track: l’acustica “Searching for Satellites Part. 1 & 2” e “Fire Breather“, un’altra cavalcata metal.

L’album è stato registrato mixato ai Forward Studios di Roma da Fabio Sforza (già ingegnere del suono del precedente “Pandaemonium” del 2018), che per l’occasione ha messo a punto una produzione vintage e fangosa che ben si adatta alle prestazioni di Gabriele Fiori, capace di alternare registri vocali diversi in funzione allo stile dei pezzi, e della sezione ritmica (Alberto Croce alla batteria e Edoardo Mancini al basso).
“Cosmic Ritual Supertrip”, come tutti i suoi predecessori da “Holy Moon” in avanti, è pubblicato su Heavy Psych Sounds Records, l’etichetta fondata da Gabriele Fiori che annovera nel proprio roster nomi di primissimo piano (Nebula, Brant Bjork, Yawning Man per citarne alcuni) e nuove interessanti realtà (su tutti Crypt Trip e Ecstatic Vision).

Cosmic Ritual Supertrip” è l’ennesima prova del valore dei Black Rainbows: un album di qualità, accessibile e godibile sin dal primo ascolto, con un sound che non si discosta dal passato, ma che non teme, in alcuni episodi, di avventurarsi su strade non ancora percorse e di provare nuove formule espressive.
Impossibile, quindi, trattenersi dall’indossare panni da “tifoso”, anche al costo di perdere un po’ di obiettività, quando una band italiana è capace di imporsi tra le proposte migliori di una scena grazie a tanto lavoro, perseveranza e passione per la musica.

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