Recensione: Cosmicism
H.P. Lovecraft è senza dubbio uno dei padri della letteratura del mistero. Meno conosciuto di Edgar Allan Poe, ma di gran lunga più tormentato dai demoni che hanno abitato il suo spirito sin dalla sua difficile infanzia. La storia stessa di Howard Phillips basterebbe a riempire oscure pagine di un mistero che comincia a influenzare una mente diversa dalle altre del suo tempo e maledettamente attuale, soprattutto nei concetti, spesso esposti dietro le forme di mostri e creature talmente inimmaginabili da consentire le descrizioni (o l’assenza di esse) che hanno reso unico lo stile dell’autore. Ecco perché non è cosa rara trovare canzoni ispirate ai racconti di Lovecraft e come ogni buon appassionato, si è subito lì a ricercare quelle stesse e fredde emozioni che hanno cementato nel nostro immaginario la città di Arkham, la Miskatonic University o il porto di Innsmouth. I francesi The Great Old Ones hanno fatto di più, hanno letteralmente dedicato la loro carriera musicale al culto degli innominabili Dei antichi dell’universo lovecraftiano, trovando nel metal estremo il terreno fertile per coltivare gli incubi usciti fuori dalla penna del nostro amato autore.
Nati nel 2009, ma giunti all’esordio discografico soltanto nel 2012, i The Great Old Ones hanno sfornato tre album capaci di attirare le attenzioni di un’etichetta matura come la Season Of Mist – dietro le quinte già in occasione del loro penultimo album, ma con questo Cosmicism si intende approfondire il viaggio psicofisico più spaventoso che mente umana possa concepire. L’album sfiora i 50 minuti di durata con appena 7 tracce, tra cui la breve introduzione di Cosmic Depths, ciò significa che le restanti tracce si portano appresso strutture che prendono il tempo necessario per svilupparsi a cavallo tra un black metal malinconico (The Omniscient), sfumato da una sottile caratterizzazione atmosferica, non di quelle che ti fanno venire in mente le innevate foreste del nord, bensì di quelle che tendono a farti volgere lo sguardo al cielo, quasi alla ricerca di una forma diversa dal solito e che da lì a poco attanaglierà lo stomaco di chi avrà occhi capaci di vedere l’altrove. A tal proposito vale la pena ricordare che i The Great Old Ones si siano formati in quel di Bordeaux, Francia, ma è indubbio quanto riescano anche a far propri i classici stilemi del metal estremo scandinavo e quindi evolverlo in un disegno molto personale e introspettivo.
Un altro aspetto fondamentale nel sound di Cosmicism è portato da un background in continua evoluzione, una sorta di colore dallo spazio che rende Of Dementia il vero e proprio inizio di un viaggio onirico, nel quale sarà ben presto difficile distinguere la realtà dall’incubo. C’è spazio per attimi in cui ci si prostra ai piedi delle montagne della follia, come quando sopraggiunge la violenza di Lost Carcosa, notevole per l’eccellente riffing che ti assale dall’inizio alla fine. Con A Thousand Young superiamo i 10 minuti di durata, è un brano che si sviluppa senza fretta alcuna, delineando con cura le più remote forme dell’immaginario lovecraftiano. Scatenato il caos cosmico ci si gode una veloce corsa grazie Dreams Of The Nuclear Chaos, la canzone più ordinaria dell’intero album, comunque in grado di tenere saldo il legame che ci divide dall’arrivo del terribile Nyarlathotep, non a caso uno dei più temibili Dei scaturiti dalla mente di H.P. Lovecraft. I The Great Old Ones dimostrano quanto siano capaci nel raccogliere lo scettro del terrore anche con ritmi più lenti del solito e che riescono così ad accentuare il lato atmosferico/cosmico del disco sino al crescendo di un finale che cala il sipario offuscando definitivamente i nostri sensi, ormai intorpiditi tra quel senso di soddisfazione che si prova soltanto dopo aver aperto una porta che non si può più chiudere.
La band francese ha compiuto un passo in avanti notevole, dando alla luce un album estremamente convincente, capace di rinvigorire un genere estremo raramente affrontato con queste intenzioni. Complice anche un’ispirazione di tutto rispetto, i The Great Old Ones si inseriscono senza se e senza ma tra gli album più meritevoli delle vostre attenzioni per quanto riguarda questo 2019, pronto a tirare le somme e sancire un periodo florido in ambito estremo. Qui c’è di più, c’è ispirazione, c’è freschezza compositiva e c’è un brivido gelido che corre lungo la schiena per tutta la durata del disco, una sensazione alla quale non si può restare indifferenti, una stretta morsa allo stomaco che ti incuriosisce e ti porta oltre quella finestra affacciata verso un mondo oscuro e dove l’assurdo esce allo scoperto. E chissà che anche voi non ritroviate quel tocco di insania tipico di un certo Erich Zann.
Brani chiave: Of Dementia / Lost Carcosa / Nyarlathotep