Recensione: Costumes Of Technocracy
I Mechina l’hanno da poco dimostrato con “Xenon”, i Thy Disease lo confermano con “Costumes Of Technocracy”: l’Era del ‘cyber death metal’, cominciata nel 1995 con “Demanufacture” dei Fear Factory, sta percorrendo la parabola ascendente del metallo più oltranzista.
Una parabola che si sta impennando, via via che si evolve la tecnologia informatica e diminuisce la remora a miscelare electronic music e death metal. I Thy Disease, difatti, sono attivi dal 1999, e da allora hanno pubblicato un bel po’ di materiale: “Art Of Decadence”, demo, 1999; “Devilish Act Of Creation”, full-length, 2001; “Cold Skin Obsession”, full-length, 2002; “Extreme Obsession”, live DVD, 2004; “Neurotic World Of Guilt”, full-length, 2004; “Rat Age (Sworn Kinds Final Verses)”, full-length, 2006; “Anshur-Za”, full-length, 2009.
Senza però aver manifestato, almeno esteriormente, l’attuale decisione a mantenere alto il livello di automatismi insito nella loro musica. Sarà forse per la line-up rivoluzionata rispetto ad “Anshur-Za”, ma “Costumes Of Technocracy” traccia davvero definitivamente l’ingresso del combo di Cracovia nel mondo cibernetico. Nei cui meandri, fra processori e microconduttori, scariche elettriche e onde elettromagnetiche, regna l’imperscrutabile Apocalisse; spietato dittatore di quel regime tecnocratico che sta annientando gli individui e che, in proiezione futura, ne determinerà la fine. Oltre la quale la sensazione di freddo, il sapore metallico, l’odore di polimeri bruciati e l’orribile suono iterativo delle macchine determinano all’unisono raggelanti visioni di una Terra decadente, morente, sepolta sotto le rovine della superbia umana. Visioni che, ed è qui che si chiude il cerchio, sono perfettamente alimentate dalle straordinarie soluzioni sonore dei polacchi, implacabili nell’inchiodare brutali accelerazioni death (“Slave State”) ad agghiaccianti tavolati ambient (“MK Ultra”).
Proprio l’opener regala un violento richiamo a Burton C. Bell e compagni, che – se ripetuto – avrebbe fatto del disco un semplice clone dei loro lavori – , lasciando però poi spazio a una proposta sicuramente meno derivativa; identificativa della grande esperienza posseduta dai Nostri nonché della loro capacità di vivere con mezzi propri. Con l’ugola di Sirius, innanzitutto, il cui ruvido growling non lascia spazio a linee vocali né pulite né tantomeno melodiche; nemmeno nella stupenda “Holographic Reality”, ove l’armonia – al contrario – definisce un ritornello memorabile. Un’aggressività costante e continua, peraltro spesso e volentieri unita a distaccati cori sintetici, che lega il sound dei Thy Disease al braccio violento della musica (“Costumes Of Technocracy”, “Corporate Cull”). Le chitarre, poi, fiondano autentiche mazzate sulla schiena dall’alto di un’impostazione concentrata su elementi quali la precisione e meccanicità dei riff. Regolare e aderente al genere la sezione ritmica, impeccabile nel dettare i tempi con una pesantezza devastante (“Psycho Parasites”, “Drowning”) oppure volando oltre la barriera del suono mediante deliranti blast-beats (“Synthetic Messiah”). Davvero fuori dalle righe, invece, la prestazione di Vx The Mind Ripper alle tastiere, alle cui tessiture va imputato molto in termini di resa stilistica complessiva (“Muted Scream”, “Global Technocratic Prison”).
La Polonia non manca un altro colpo. Oltre a old school, brutal, technical, grindcore e classico, il death viaggia ai massimi regimi motore anche nel più innovativo e futuristico dei suoi degeneri figli: il cyber. Ai Thy Disease e al loro spettacolare “Costumes Of Technocracy” gli onori della cronaca, stavolta.
Daniele “dani66” D’Adamo
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