Recensione: Covered In Skin [EP]
La storia dei tedeschi Goregast ha inizio nel 1993 nel Brandenurgo, al confine con la Polonia, quando Rico Unglaubee e Jörn Böttcher, rispettivamente voce e chitarra, danno vita ai Distress; la band è capace di distinguersi per le tematiche affrontate sui diritti degli animali e sul rapporto uomo/natura, il tutto farcito da un death metal old school che si ritrova nelle loro uniche produzione: i due demo H.I.H. del 1993 e Putrid Corpse dell’anno successivo, che comunque non lasciano tracce della loro permanenza. Dopo una serie lunghissima di concerti nel 1997 i Nostri decidono di prendersi un breve periodo di pausa…durato sette anni! Dopo un cambio in line-up nel 2005 ecco che i Distress tornano alla carica, ma a causa dell’omonimia con un’altra band, decidono di cambiare il nome in Goregast, dal nome di una piccola cittadina della Germania dell’Est, vicino Wriezen, il loro paese d’origine.
E dopo la registrazione del demo “Terassen am See”, esce nello stesso anno il primo full-length “Viva El Animal”, con la particolarità dei testi in inglese, spagnolo e tedesco. I testi continuano sull’onda iniziata oltre dieci anni prima con i Distress, e includono crudeltà e torture sugli animali, politica ‘americana’, industria degli animali e altro! Dopo due anni esce il seguito intitolato “La Revancha” per l’etichetta spagnola Hecatombe Records. Dopo una lunga serie di concerti il cantante Rico Unglaube lascia la band per andar a vivere con il resto della famiglia nel Sud della Spagna, ma ben presto tornerà sui suoi passi per rientrare al posto della ‘passeggera’ Tina Pogodda nel 2009. E da allora qualche avvicendamento con l’entrata del batterista Torge Ließmann, che lascerà a sua volta il posto a Max Pela dopo “Desechos Humanos”, per la F.D.A. Rekotz nel 2011.
E con la nuova formazione il quintetto ritorna in scena con “Covered In Skin”, due soli brani per metterci al corrente del fatto che nuove cose bollono in pentola. I brani sono impregnati dalle sonorità old school, mentre la voce di Unglaube spazia su fronti diversi. La title-track ha una buona costruzione in fase compositiva che inizia con un riff e a mano a mano prende forma in crescendo, fino ad arrivare al punto di slancio che vede un up-tempo tiratissimo sul quale si prodigano tutti in egual misura. Ma la voce di Unglaube senz’altro il punto di forza che può fare la differenza nella band. Il suo growl rabbioso è facilmente imprimibile nella mente e, nonostante non inventi nulla di nuovo, ha un suo particolare timbro vocale. La sezione di respiro finale con gli accordi aperti è la giusta ripartenza prima del finale. ”Mindcreeper” vede invece l’alternarsi di sezioni differenti, differenziate in primis dal suono della batteria di Pela. Riff poderosi e carichi ma niente di eclatante che faccia gridare al miracolo, almeno in questi dieci minuti.
Vorrà Covered In Skin rilanciare questa band in previsione del prossimo disco? Mi auguro di si, altrimenti i suoi due brani andrebbero visti come due meteore fini a loro stesse.
Vittorio “versus” Sabelli
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