Recensione: Cracksleep
Mi sono sempre chiesto, fin da ragazzo, del perché affiancare a un certo tipo di musica rock la specifica di progressive (o, abbreviandolo, prog) essendo, per propria natura, la ricerca di nuove sonorità sempre in stato di progressione, anche per quella più violenta e truce come il punk o il thrash.
Se l’uomo primitivo ha scoperto di poter produrre un suono battendo su un tronco con un bastone, il secondo colpo era già progressive, perché ne cercava la diversità rispetto al primo.
Certo, alla fine degli anni Sessanta, quando il rock cominciava a rappresentare il movimento giovanile di libertà e di cambiamento, bisognava distinguere il genere più complesso e raffinato, di alto spessore culturale, dal suo fratello gemello più cattivo e diretto che stava prendendo il nome di hard rock.
Cominciarono così a fondersi partiture blues con altre jazz, classiche e psichedeliche, e i brani vennero allungati per dare importanza alle fasi sinfoniche e alle orchestrazioni. L’apice di quanto sopra lo si trova nella discografia di metà anni ’70 dei Genesis, Emerson, Lake e Palmer, Rush, King Crimson e di molti altri con le loro innovazioni.
E il metal? Gli artisti estremi non rimasero fermi e a metà anni ’80, staccandosi dalla matrice power, alcuni gruppi cominciarono ad ampliare il proprio stile, introducendo sonorità più complesse e strumenti fino ad allora utilizzati al massimo come riempitivo, quali le tastiere, o mai presi in considerazione (quali il sax). Tra i gruppi di punta di questo genere troviamo i Dream Theater, i Queensrÿche ed i Fates Warning, giusto per citarne alcuni. Anche gruppi di estrazione radicalmente heavy metal, come Black Sabbath e Iron Maiden, inserirono nei loro pezzi sezioni derivate dal prog, ampliando il proprio repertorio sonoro.
Fatta questa premessa, è bene tornare all’A.D. 2018. Gli Eldritch, band italiana di Rosignano Marittimo, nata nel 1991 e più attiva che mai, vanta una discografia invidiabile: dieci album pubblicati dal 1995 al 2015, cui si va ad aggiungere Cracksleep, in uscita il 23 marzo 2017 via Scarlet Records.
Rispetto all’ultimo lavoro (Underlying Issues) la formazione non ha subito modifiche, consolidandosi ed aumentando lo spirito di gruppo, aspetto che rende la band un motore che si muove in perfetta sincronia.
Il loro sound può dirsi prog per la ricerca di un buon grado di raffinatezza, raggiunta per mezzo di una melodia sempre presente anche nei momenti più estremi, ma anche power, per via del muro sonoro che viene generato per farvi rimbalzare la melodia stessa.
Tutti ottimi musicisti, non c’è niente da dire, e una voce chiara e pulita sempre adatta al momento e mai fuori limite.
Cosa manca di prog, ma a parere dello scrivente non è stata una cattiva idea non inserirle, sono le parti musicali lunghe e pompose, con orchestrazioni infinite ed assoli di chitarra che non finiscono mai. Difatti i brani non durano tantissimo, andando dai 6 ai 5 minuti. Questo rende l’album scorrevole, aumentando la voglia d’ascolto man mano che il tempo passa.
Non ci troviamo però di fronte a brani semplici, anzi, le strutture sono articolate e variabili, con momenti epici e potenti che si affiancano ad altri più melodici, che però non perdono di forza e pesantezza, rimanendo indubbiamente brani heavy metal (poi chiamiamolo prog, power o come vogliamo, non importa).
L’album inizia con la title track, ‘Cracksleep’, che prende il via con un’emozionante melodia di pianoforte a introdurre delle orchestrazioni epiche. Poi un improvviso stop ed il brano riprende potente con l’introduzione delle chitarre e di una batteria incisiva.
‘Reset’ è veloce e potente, con delle strofe che si contrappongono alle tastiere e con un refrain basato su un tempo più melodico. Un tempo cadenzato porta agli assoli di pianoforte e di chitarra, condotti con buon virtuosismo.
Orchestrazioni oscure e pompose introducono ‘Deep Frost’, un brano cadenzato dal tenore maligno che si divide tra la raffinatezza delle strofe lente e la potenza delle sezioni musicali.
‘Aberration of Nature’ è violento, ai limiti del thrash, con un uso complicato ma sorprendente della batteria e un assolo di chitarra suddiviso in più parti.
‘My Breath’ è un pezzo lento che racconta una storia con un retrogusto di potenza e strappi di chitarra che spezzano, indurendo, per qualche secondo, la melodia.
‘Silent Corner’ è una song moderna, che vede una fusione ben riuscita di durezza e melodia.
Superiamo la metà dell’opera: ‘As the Night Crawls’ in’ dà molta importanza alle orchestrazioni, mentre in ‘Voices Calling’ qualcuno dei compositori fa riemergere un certo gusto per il thrash, con accelerazioni e tempi medi che si scambiano tra loro. Buona, tra l’altro, la narrazione demoniaca che rende il tutto malefico.
‘Staring at the Ceiling’ è basata su un duro mid-tempo reso cupo dalle tastiere; poi un’accelerazione porta a un ottimo assolo.
‘Night Feeling’ s’avvia con un attacco violento e diretto, che poi rallenta per diventare quasi un’altra canzone, per poi nuovamente riprendere vigore. A parere dello scrivente è il pezzo che emoziona maggiormente.
L’ultima traccia, ‘Hidden Friend’, è struggente e porta ad un senso di malinconia che, al tempo stesso, si vuole allontanare. Un pezzo particolare, diverso da tutti gli altri, molto intenso e che chiude degnamente il platter.
Insomma, non abbiamo altro da dire, bravi Eldritch! Il combo è riuscito a comporre un lavoro di chiaro stampo heavy metal, ricco di sonorità variabili, di melodia e durezza gradevolmente fuse assieme, suonato e prodotto in modo ottimale, senza momenti di pausa o esitazioni. Come già detto, chiamiamolo prog oppure power, o in un modo molto più semplice: un gran bel disco.