Recensione: Crazy Lixx

Di Carlo Passa - 20 Novembre 2014 - 18:00
Crazy Lixx
Band: Crazy Lixx
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2014
Nazione:
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80

Il sole a mezzanotte e la notte a mezzogiorno: terra di stagioni contrastanti la Svezia, terra di sonorità lontanissime tra loro, terra di Europe e di At The Gates.
E se la lunga notte invernale è venata del solitario dolore incarnato nel growling del death metal, la luce estiva si riflette nella colorata ciurmaglia dell’hard rock. Devono essere mesi splendidi lassù, dove la crisi economica colpisce meno e le giovani band hanno sovvenzioni statali per pagarsi l’affitto della sala prove. Ed è inevitabile che ne scaturisca un hard rock venato ora di glam, ora di heavy, un genere che ha bisogno di diffuso benessere decadente per fiorire: non è un caso che il suo acme fu nella Los Angeles ottantiana, luogo e tempo per eccellenza del sogno americano di “farcela”.
Sì, deve essere così. Altrimenti non si spiega il boom di eccellenti band hard svedesi scoppiato nel corso di questi primi anni del nuovo millennio. Si pensi solo agli Hardcore Superstar, agli H.E.A.T., ai Crashdiet: tutte band di qualità e dotate di caratteristiche distintive tali da disegnare una scena al contempo omogenea e variegata.
Del gruppo fanno parte a buon diritto anche i Crazy Lixx da Malmoe, che giungono ora al quarto album nel giro di sette anni. Intitolare un disco con il medesimo nome della band che ne è l’autrice è sempre segno di un credo particolare riposto nelle sue qualità rappresentative. Crazy Lixx va, dunque, considerato come lo stato dell’arte della band nel 2014, un suggello che codifica il canone del gruppo e lo presenta al mondo.
Se il precedente Riot Avenue (del 2012) aveva lasciato un po’ di amaro in bocca a molti fan, a causa di un suono che era parso troppo aggressivo e sostanzialmente inadatto alla band, Crazy Lixx rimette le cose a posto, tornando all’attitudine che aveva reso grande New Religion (2010) e, seppur in misura minore, l’esordio Loud Minority (2007).
Riecco, dunque, suoni sì hard, ma meno distorti; riecco quell’efficacissimo incontro tra Def Leppard, Poison, L.A. Guns e Skid Row che farà la gioia degli hard rocker più e meno attempati. Il risultato è un album realmente piacevole, privo di cadute di stile e qualità e, anzi, ricco di grandi melodie e arrangiamenti azzeccati. Anche la personalità della band, tasto sempre dolente quando si parla di glam hard rock ottantiano, risente positivamente di questo ritorno al suono che aveva saputo distinguere originariamente i Crazy Lixx da tante altre band innamorate del Sunset Strip di trent’anni fa.
I buoni pezzi abbondano: ad esempio, Hell Raising Women, posta in apertura, spacca, grazie a un riff notevole, capace di suonare fresco nonostante rientri pienamente nell’ortodossia annosa del genere. Per farsi un’idea del disco, si ascolti l’attacco violento di Sound Of The Loud Minority e il contrasto che esso crea con la morbida strofa e, ancora, con un chorus melodico e aggressivo quanto basta: non molto, non poco.
Outlaw fa il verso ai Def Leppard; e tralasciamo che la band di Sheffield non scrive pezzi di questo livello da troppi anni.
E poi ci sono le ragazze: cosa sarebbe il Sunset Strip senza le groupie, senza i loro capelli cotonati, gli stivaloni e gli short di jeans? Girls Of The 80’s le celebra in un tripudio di testosterone che solo gli Steel Panther possono superare.
E che bella I Missed The Mark, forte di un ritornello sì leggero, ma piuttosto originale, elegante e non ruffiano.
Se All Looks, No Hooks ricorda gli L.A. Guns nella strofa e ibridizza i Def Leppard e i Dokken nel ritornello, Ain’ No Rest In Rock N’ Roll sembra uscita dalla penna (ispirata) di un Paul Stanley del 1986.
Pur dotata di un ritornello carino, Call To Action si perde un po’ nella qualità che la circonda, rappresentata soprattutto dalla successiva Heroes Are Forever, che giocherà pure intorno a modelli abusati (soprattutto dagli Skid Row, nella strofa), ma li sa rendere propri sino a sembrare nuovi, risultando così credibili.
Psycho City e Wrecking Ball Crew sono semplicemente Swedish Hard Rock, finalmente riconoscibile come un genere a sè stante, certo derivativo, ma innovativo al tempo stesso. Questa volta, i pezzi sono discreti, niente di più, ma rappresentano un buon compendio di quanto proviene dal Baltico negli ultimi anni.
E il disco finisce, lasciando all’ascoltatore quella sensazione di sfogo positivo, che è il compito di un album hard rock. Crazy Lixx, dunque, conferma e, se vogliano, riafferma la band svedese nel suo ruolo di primo piano all’interno di una scena ricca e, dunque, altamente competitiva. Se vogliamo cercare il pelo nell’uovo, Crazy Lixx risente della mancanza di una bella power ballad, immancabile nei prodotti ottantiani, tra chitarre acustiche e liriche lamentose. Ma forse è giusto così: i tempi sono cambiati e il passaggio di un rattristato video in bianco e nero su MTV non fa più la fortuna di un gruppo di ragazzacci.

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