Recensione: Creatures Watching Over The Dead
Charred Walls Of The Damned. Cosa, o meglio chi, si nasconde dietro a un moniker certo di non facile presa, per non dire un po’ astruso? In due parole: un supergruppo. Non c’è appellativo migliore per definire una band che può vantare al proprio interno membri del calibro di Tim “Ripper” Owens, Steve DiGiorgio e Richard Christy. Musicisti che non necessitano di alcuna presentazione, se non giusto per qualche neofita del genere, ai quali lasciamo il piacere di approfondire, magari andandosi a rileggere la recensione del disco di debutto sulle nostre pagine. L’unico a fare in parte eccezione è Jason Suecof, chitarrista che completa la line-up a quattro. Meno conosciuto, ma senz’altro dotato di ottime capacità tecniche e gusto in fase solista. Più che per le band in cui milita o ha militato, il trentaseienne chitarrista statunitense si è messo in luce potendo annoverare una quantità notevoli di apparizioni come ospite e soprattutto come produttore e tecnico del suono.
A cinque anni di distanza dal valido “Cold Winds On Timeless Day”, i quattro metaller di Long Island (NY), tornano alla ribalta con la loro terza “creatura”, se mi passate il gioco di parole: “Creatures Watching Over The Dead” – evidentemente il dono della sintesi e dell’immediatezza non è mai stata una delle loro peculiarità. Il terzo album è spesso il disco della consacrazione, se un gruppo ci sa fare, o della maturità, se avessimo a che fare con quattro giovani imberbi e non musicisti scafati, ma nel loro caso possiamo tranquillamente affermare che si tratti del disco della riconferma. Un lavoro che mette in luce l’indiscussa abilità dei singoli e del gruppo, senza che appaia come un lavoro di mestiere. Che suona dannatamente fresco e moderno, pur rifacendosi agli stilemi classici dell’Heavy/Thrash (o US Power, se preferite) a stelle e strisce, buttandoci dentro una spruzzatina di death melodico.
Per inquadrare meglio le coordinate stilistiche dell’album, potremmo definirlo come il punto d’incontro tra i Control Denied (del resto qui ritroviamo due quinti di quella formazione), senza il genio e l’estro di Schuldiner, ovviamente, gli Iced Earth (altro gruppo in cui hanno militato Owens e Christy) e gli indimenticabili Ark, spogliati della loro veste più progressiva (aspetto presente, ma molto sotto traccia). A ricordare questi ultimi, talvolta, contribuisce pure Owens. Il quale, non dovendo più emulare per forza Rob Halford, può dare libero sfogo al suo stile, talvolta accostabile a quello di Jørn Lande o di R.J. Dio. Al di là di certi paragoni, atti a fornire in questo caso solo un’indicazione di massima e non una reale somiglianza o la volontà di copiare certi gruppi o artisti, lo scopo dei Charred Walls Of The Damned è quello di comporre brani che siano potenti, veloci, incisivi e al contempo anche orecchiabili e catchy, evocativi e anthemici.
A differenza dei Control Denied, molto più cupi e introspettivi, i Nostri guardano più all’impatto e alla potenza, contrapposti all’immediatezza e alla coralità dei ritornelli. Del resto l’obbiettivo dichiarato dei Charred Walls è quello di riportare ai giorni nostri la straordinaria capacità dei Quiet Riot di comporre refrain che si stampino subito in mente e che possano essere cantati a squarciagola. Ed è proprio questo nodo focale ad essere croce e delizia del loro songwriting. Perché, se da un lato fa piacere trovare dei bei ritornelli efficaci, dall’altro non si può fare a meno di notare come lo stacco tra strofa e ritornello a volte sia eccessivo. Sfido chiunque ad ascoltare il brano usato come singolo apripista, “The Soulless”, e non rimanere quantomeno spiazzato. L’attacco è di quelli che fanno male: un bel riff di matrice thrash/death viene supportato da un vero e proprio assalto all’arma bianca della sezione ritmica, con Christy intenzionato a mietere vittime con un devastante blast-beat e un impressionante DiGiorgio a supporto. Il ritornello, invece, frena bruscamente, deviando su lidi cari al classico epic metal. La differenza tra l’una e l’altra sezione è netta e nonostante il brano sia complessivamente molto valido, si finisce per rimanere un po’ disorientati. D’altra parte è anche vero che questo è l’episodio più eclatante, mentre, nel corso dell’album, l’amalgama è senz’altro più convincente, creandosi così la giusta alchimia. In particolare sono i brani dove i Nostri si destreggiano maggiormente tra hard rock e heavy, come “Afterlife”, “Lies” o l’ottantiana “Living In The Shadow of Yesterday”, a risultare più riusciti. Ma farei senza dubbio un torto all’oscura opener “My Eyes”, forse l’episodio più vicino agli album precedenti, se affermassi che solo i brani più morbidi o retrò riescono ad andare a segno. Lo stesso dicasi della priestiana “Reach Into The Light” o “Tear Me Down”, che si conclude con un minuto abbondante di assoli di chitarra da brivido. Non da meno anche la conclusiva “Time Has Passed”, nella quale DiGiorgio sale in cattedra, ergendosi quasi a protagonista della scena.
Insomma, da “Creatures Watching Over The Dead” non aspettatevi i fuochi d’artificio. Come scritto in apertura si tratta di una riconferma più che della definitiva consacrazione. Quel che è certo è che si tratti di un album solido: pochi brani ma tutti apprezzabili, zero filler. Né troppo lungo, né troppo corto. Ciò che rende soprattutto apprezzabile la proposta dei Charred Walls Of The Damned è la loro capacità di sconfinare con maestria in più generi, mantenendo ben salda la propria identità. Caratteristica piuttosto rara di questi tempi, nei quali se un gruppo suona thrash, tutto l’album sarà thrash. Se heavy metal, ogni singolo brano sarà heavy e così via.