Recensione: Credit Where Credit Is Due

Di Riccardo Angelini - 1 Ottobre 2006 - 0:00
Credit Where Credit Is Due
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Anno: 2005
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59

Does humor belong in music?”

Con questo interrogativo si apre il booklet di “Credit Where Credit Is Due”, secondo album solista del vulcanico Henning Pauly. E la risposta dello stesso polistrumentista di Chain e Frameshift è, fatti alla mano, inequivocabilmente affermativa. Ciò tuttavia non significa che operare una buona sintesi di musica e senso dello humor senza cadere nel pacchiano, nel puerile o nel volgare fine a se stesso sia impresa alla portata di chiunque. I Frank Zappa non nascono tutti i giorni, insomma.
Alla difficoltà insita nell’impresa stessa bisogna poi aggiungere, nel caso di Pauly, un ulteriore ostacolo contingente. Per capire di che cosa si tratta sarà bene fare un piccolo passo indietro.

L’estemporanea idea di realizzare il presente album balena in mente al musicista alemanno durante un periodo di pausa dai lavori per il suo progetto principale, la rock opera Babysteps (di recente pubblicazione). Per iniziare, dunque, Pauly telefona all’amico Juan Roos, già al microfono degli stessi Chain e dei Transmission. Senza esitazione, Roos si dimostra entusiasta dell’idea. C’è però un limite: avrà a disposizione solo un paio di settimane, a causa di pregressi impegni di lavoro. Non è certo da Henning tirarsi indietro: egli accetta dunque la sfida, e dopo sole due settimane l’album è pronto.

Risultato? Poteva andare peggio. In effetti, considerate le premesse – soprattutto l’handicap temporale – non era proprio il caso di attendersi un pezzo da novanta. I difetti ci sono, belli grossi, si vedono e si sentono tutti. Il songwriting si rivela estremamente disorganico, inficiato da approssimazioni grossolane e da variazioni sul tema quantomeno discutibili. La ballad Seven soffre un carico elettronico troppo grave, l’industriale German Metalhead – nonostante il titolo benaugurante – cade con molta facilità nel dozzinale, e il fondo viene toccato dalla pessima Cure The Breach, impietosamente martoriata dalle più becere influenze alternative e nu metal.
Sull’altro piatto della bilancia per fortuna si trovano pezzi di maggior pregio. Nonostante l’invadente esuberanza dell’elettronica, infatti, l’ignorantissima Scheißlautundhartwiedreck (il cui riff portante sarà anche il tormentone della demenziale Bonusdreck), la suite Halo – con i suoi pomposi riferimenti alle colonne sonore – e la spiazzante I Like My Videogames segnano punti salvifici per la partita di Pauly. La prova di Juan Roos è un altro importante contributo alla causa, sebbene i paragoni proposti dallo stesso Henning con i mostri sacri Geoff Tate e David Coverdale siano semplicemente fuori luogo.
La spinta decisiva, quella che permette alla fine delle danze di salvare il pacchetto, è data senza dubbio dai testi – spassosi, spesso fuori di testa e a tratti persino arguti – quindi se non è vostro costume prestarvi attenzione probabilmente l’album perderà molto in fretta gran parte della sua attrattiva.

Credit Where Credit Is Done è un album composto in fretta, Pauly non vuole certo nascondersi dietro un dito e la sua presentazione dell’album è indubbiamente sincera. Quello che in due settimane è riuscito a pressare dentro questi ottanta minuti – alla fine l’ha riempito fino all’orlo, questo dischetto – è uno spiazzante miscuglio di metal, elettronica, industrial, rock, folk e chi più ne ha più ne metta, con un’abbondante cucchiaiata di follia crucca a condire il tutto. Se amate questo genere di sperimentazione potreste andarci a nozze, in caso contrario valutate molto attentamente l’acquisto per non rischiare di chiudere la sconcertante pratica già al primo ascolto.

Tracklist:
01 – Your Mother Is A Trucker
02 – Cure the Breach
03 – Three
04 – Scheisslautundhartwiedreck
05 – I Don’t Wanna Be A Rockstar
06 – Six
07 – Seven
08 – Radio Sucks
09 – Halo
10 – Copyright Conspiracy
11 – German Metalhead
12 – I Like My Video Games
13 – Bonusdreck

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Genere:
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75