Recensione: Crepuscule Natura
Tre anni dopo il poco riuscito Djinn, gli Uada tornano sul luogo del delitto come ogni assassino che si rispetti, facendosi però cogliere in flagrante. Crepuscule Natura è un disco che, purtroppo o per fortuna, non cambia di una virgola tutto ciò che era stato proposto col lavoro precedente, mantenendone sì i pregi ma anche i numerosi difetti. Gli Uada erano partiti con un debutto folgorante e un seguito di poco inferiore ma comunque di buonissimo livello, poi, la svolta con l’inserimento del black’n’roll che ha un po’ mandato alle ortiche tutto il buono che era stato seminato. La proposta di questa band funzionava benissimo, e chi ne possiede la discografia completa può facilmente rendersi conto dello stacco quasi totale tra i primi due dischi e i lavori successivi. Il presente degli Uada mette in un angolo la furia e la cattiveria degli inizi, tentandola di incorniciare tra orpelli più o meno inutili, melodie sempre più stucchevoli e velleità progressive spesso incollate alla meno peggio.
Va detto però che Crepuscule Natura funziona molto meglio di Djinn, a partire soprattutto dal minutaggio, che qui tocca a malapena i quaranta minuti e risulta meno frustrante, ma comunque rivedibile nei modi. Sono cinque i brani proposti e, durante tutta la loro durata, si può ascoltare una vera e propria altalena di sensazioni. Gli Uada di oggi alternano grandi momenti a grandi delusioni, e non ci sono mezze misure. Questa band, col dono della sintesi, sarebbe in grado di comporre un album migliore dell’altro; purtroppo però dobbiamo accontentarci e cercare di vedere il bicchiere mezzo pieno. Come in Djinn, praticamente tutte le parti black’n’roll risultano irritanti: “tirano indietro” i brani in maniera clamorosa e sembrano momenti quasi creati apposta. Si centrano dei riff clamorosi e, non appena finito di dire “wow”, si passa alla bruttissima copia dei Tribulation. Prediamo ad esempio Retravsering the Void: i primi cinquanta secondi sono terrificanti, a che servono? Poi il brano parte, si risolleva, torna ancora al festaiolo andante e riparte con la strofa. E cosi per tutto il brano: esalta, annoia, esalta, annoia, esalta, annoia.
Questo modus operandi, unito al fatto che i brani sono tendenzialmente troppo lunghi, dimostra che la band voglia tenere il piede ben piantato ma in troppe scarpe, continuando a sfornare lavori non al top. In tutto ciò, il brano migliore è l’ultimo, Through the Wax and Through the Wane, e guarda caso quello che non ha black’n’roll al suo interno. La produzione in ogni caso aiuta poco, essendo molto bassa e priva di cattiveria: si predilige la pulizia del suono, penalizzando in potenza tutto il lavoro. Scelta che alla lunga non paga.
Crepuscule Natura è un disco piacevole e suonato da grandi musicisti; è un peccato che si sia scelto di proseguire sulla scia del precedente lavoro, che già aveva mostrato delle falle piuttosto importanti. La situazione è sì migliorata ma siamo ancora lontani dai primi due album, dove gli Uada avevano già trovato la quadra al loro sound e non necessitavano di sforare in altri generi. E’ giusto rischiare, evolversi, tentare nuove strade, ma quando non pagano spesso bisogna fare un passo indietro e imparare dai propri errori, per poi tornare più forti che mai. Confidiamo nel prossimo lavoro.