Recensione: Criminal Element Time
Musica da strada. Anzi, metal stradaiolo. Come quello dei newyorchesi Criminal Element che s’ispirano, per le loro canzoni, al sistema giudiziario americano, al crimine e alla vita di strada – appunto – di tutti i giorni.
Cercando di trasfondere questi elementi, duri e spigolosi, in una sorta d’incrocio fra thrash e death metal, con preminenza di quest’ultimo rispetto all’insieme totale della proposta musicale di “Criminal Element Time”.
Terzo album di una carriera cominciata nel 2001 e alimentata da una produzione discografica più che sufficiente: tre full-length (“Guilty As Charged”, 2008; “Modus Operandi”, 2013, “Criminal Element Time”, 2015) e cinque EP (“Criminally Contaminated”, 2006; “Career Criminal”, 2006; “Crime And Punishment Pt. 1”, 2010; “Crime And Punishment Pt. 2”, 2010; “Maiden Brooklyn”, 2014).
E il flavour che si respira dalle tracce, a cominciare dall’opener “Gang Related” è proprio quello di un mix fra i sentori di asfalto, di gas di scarico, di smog, di sangue, di droga, di polvere da sparo. Identificativo, cioè, di un sound cioè duro, arcigno, roccioso. Semplice e immediato come le tanto elementari quanto animalesche regole che definiscono i comportamenti di coloro che vivono nei quartieri sub-urbani delle grandi metropoli.
Se questa trasposizione artistica (vita da strada, musica) è tutto sommato riuscita, non si può dire lo stesso per la musica medesima. Anzi, osservando “Criminal Element Time” da un’angolazione prettamente sonora, ciò che emerge è un lavoro assolutamente fuori dal tempo e dallo spazio. Nella miscela fra thrash e death di cui si diceva poc’anzi, condita da un po’ di grindcore (“Rampage”, “Justice Denied”), difatti, non si trova nulla d’interessante.
Lo stile dei Nostri appartiene a un lontano passato, ormai dimenticato anche dai più nostalgici sostenitori del metal estremo della fine degli anni ’80; e allo stesso tempo fa parte di un luogo a sé stante, slegato dai più popolosi contesti areali identificativi di una qualsiasi tradizione in materia. Quest’ultima osservazione in realtà potrebbe contenere anche una connotazione positiva, giacché significativa di un sound originale.
Purtroppo per i Criminal Element, invece, le song di “Criminal Element Time” non hanno nulla che potrebbe attirare l’attenzione. Costruite in modo davvero semplicistico, in esse paiono esservi condensati tutti i cliché del genere suonato. Scevri da un minimo apporto della cosiddetta farina del proprio sacco. Passando e ripassando il platter sotto il laser, insomma, in testa rimane poco o niente; affossato in una mediocrità di fondo disarmante per i tempi che corrono.
Tempi che rendono misteriosa la motivazione per la quale i Criminal Element abbiano potuto incidere tutto il materiale all’inizio elencato quando, in giro, e anche in Italia, c’è gente di ben altro spessore tecnico-compositivo alla perenne ricerca del primo, agognato contratto discografico da firmare.
Daniele D’Adamo