Recensione: Crimson
Sono poche le band che hanno il coraggio di reinventare la propria carriera cambiando, radicalmente, la loro proposta musicale. Nel bene o nel male comunque, ciò che conta è che la svolta sia dettata da un’idea di base. Vale a dire: che si cerchi di alleggerire il proprio sound per accattivare una più vasta fetta di pubblico o che si cerchi di trovare nuove ed insolite forme d’espressione, quel che conta è avere bene in testa cosa fare. E i Sentenced, in quel lontano 2000, le idee le avevano ben chiare: abbandonare il death degli esordi in favore di un sound più classicamente hard e con una marcata attenzione al gothic.
Una svolta forse inaspettata, ma avvenuta per gradi.
Un primo avviso lo avevano dato con il gelido e stupendo ibrido “Frozen”, che univa magnificamente gothic e death metal. Due anni dopo, il cerchio si è chiuso con questo “Crimson”. Dato non secondario, in quel periodo i Sentenced non furono gli unici a optare per una svolta melodica. Il fenomeno, complice probabilmente l’esplosione degli H.I.M. o dei 69 eyes, stava affliggendo tutta la Finlandia, spesso in senso buono. Lo può dimostrare il coevo alleggerimento degli Amorphis verso i fascinosi paesaggi di “AM Universum” e “Tuonela”.
Ma non divaghiamo: si parlava di “Crimson”, un album profondamente diverso dai suoi predecessori, eppure egualmente magnifico e complesso. Un nuovo sound, che si rifà in parte ai già citati H.I.M., ma, soprattutto, ai leggendari Lake of Tears (che il titolo sia un omaggio a “A Crimson Cosmos”?), tuttavia più scarno e ancora più roccioso. Lo si capisce subito dal primo giro di chitarra di “Bleeding in My Arms”, semplice ed efficace, che si stampa subito nelle orecchie dell’ascoltatore, anche occasionale, e non lo lascia più. Si nota un (insospettato) gusto per la melodia di facile presa, ad esempio nei ritornelli di “Home in Despair”, “No More Beating as One” o “Dead Moon Rising”, ma pure in riff estremamente semplici e ben costruiti (“Fragile”, “One More Day”).
Egualmente si adatta al nuovo sound anche lo stile vocale di Lahiala, che ha abbandonato il growl, ma continua a raschiare il fondo della gola, trovando la via di un cantato potente, drammatico ed espressivo che mi ricorda il miglior James Hetfield.
Degna di nota “Broken”, un brano che non manca di incuriosire, vagamente più simile per atmosfere a “Frozen” o anche a certe sonorità di “Elegy” dei già nominati Amorphis.
Quando, poi, in scaletta si può disporre un brano come “Killing Me, Killing You”, forse la canzone che più di ogni altra può esser definita come il manifesto del nuovo corso della band, i commenti non possono che essere d’elogio. C’è tutto: una delicata introduzione di piano, poi una strofa malinconica cede bruscamente il passo ad un ritornello drammatico che a sua volta si trasforma in un’epica cavalcata. In cinque minuti troverete davvero tutto quanto son diventati i Sentenced, da questo album in poi.
Il songwriting è splendido, la produzione pure. Ottima anche la cura per i dettagli, quasi ai livelli del successivo, irripetibile, “The Cold White Light”. Insomma, nonostante un svolta che aveva fatto gridare allo scandalo moltissimi fan, i Sentenced erano riusciti a confermarsi band di indiscussa qualità. Non poco.
Tracklist:
01 Bleed in My Arms
02 Home in Despair
03 Fragile
04 No More Beating as One
05 Broken
06 Killing Me, Killing You
07 Dead Moon Rising
08 The River
09 One More Day
10 With Bitterness and Joy
11 My Slowing Heart
Tiziano “Vlkodlak” Marasco