Recensione: Crono
Il silenzio….vale più di mille parole, e la notte non fa più paura. Dinanzi a me danzano gli spiriti del passato ed il presente ha un nuovo colore, un nuovo sapore. La vita è un dono meraviglioso è ti dà la possibilità di riassemblare i cocci e ripartire daccapo, attore protagonista del mio disegno che nessuno più può modificare e cancellare.
Ho provato, come qualsiasi ascoltatore, ad immedesimarmi nella bellissima storia – che da qui a poco racconteremo – riguardante “Crono” il recente, secondo album dei Layra, rock progressive band capitolina.
Entrare nei meandri più nascosti, dove il significato più vero spicca il volo senza nessuna prigionia. Carpire le sensazioni e gli umori dei personaggi, descrivere l’universo contorto ed ammaliante del protagonista e tutto quello che gli ruota attorno.
Un viaggio intenso,profondo che saprà conquistare con la sua eleganza, ipnotico a tratti spettrale, pieno di simboli da decifrare ed istanti da contemplare. Un lavoro complesso, che ha bisogno di un ascolto attento, che merita tutto il tempo per essere pienamente analizzato nelle numerose sue sfaccettature.
Per poter meglio comprendere, dobbiamo andare un po’ a ritroso nel tempo, precisamente nel 2005 , anno di nascita della band oggetto della recensione.
L’intento originario, era quello di intraprendere un discorso musicale alternativo rispetto a quelli che sono i canoni basilari del pop, inserendo nel proprio songwriting una serie interessante di elementi che hanno come fonte di ispirazione primaria i primi Genesis di Peter Gabriel, Yes, Marillion e Rush, sino a giungere agli ultimi Dream Theather e Porcupine Tree.
Un background d’influenze nel quale si denota anche la presenza di alcune delle più importanti e storiche band del rock progressive italiano quali Pfm e le Orme.
Lontani anni luce dall’essere una band tributo del passato, i Layra, grazie ad una solida esperienza maturata attraverso un’attenta e “sana” gavetta, riescono a far quadrare il cerchio con l’avvento del loro primo disco sulla lunga distanza, “Chiaroscuro”, nel corso 2008.
Un cd autoprodotto che ha subito smosso le acque e che, nei mesi successivi, viene distribuito dalla label francese “Believe Records” in forza di un contratto quinquennale, utile nel fornire una buona visibilità anche mediante l’utilizzo di piattaforme web internazionali come “iTunes,” ” Amazon”, “MSN” ed “e-music”.
Con l’ultimo arrivato “Crono” i Layra si affidano invece ad un sound più oscuro ed aggressivo rispetto al lavoro precedente, riverberando in questo un impegno certosino nel cercare di ricreare ”la sceneggiatura”musicale adatta per dare vita alla storia su cui è incentrato il disco.
Un lavoro maturo e coraggioso che sorprende per freschezza e denota grande consapevolezza dei propri mezzi, oltre a rispecchiare un profondo amore per la propria musica, espressa osando il più possibile, senza però mai perdere un ipotetico senso dell’orientamento.
Sono dieci i pezzi che compongono il cd, tutti collegati tra loro al fine di dar vita ad un concept dai tratti apocalittici seppur dall’animo gentile e “sensibile”, proprio come il personaggio che lo interpreta.
Il nostro “eroe“ chiamato Ayral, è un personaggio che nel corso degli eventi scopre d’essere oggetto di un terribile esperimento “sociale” in cui ogni azione è in realtà essere calcolata e studiata in precedenza: dalla gloria alla prigionia, dai cieli limpidi ed infiniti a quattro mura fredde che lo spogliano di qualsiasi fiducia e conferiscono l’intima consapevolezza di dover fare qualcosa di importante per rivedere la luce.
Un esame di coscienza, che sarà il punto di partenza di una vigorosa rinascita.
Un concept intrigante dunque, da seguire e capire con calma, che nasconde nel suo interno una serie infinita di buoni sentimenti e di speranze celate nell’illusione e nella disperazione. Un disco dal punto di vista lirico notevole che, attraverso un discorso artistico parallelo a quello squisitamente musicale, si sviluppa in un vero e proprio recital foriero di una miriade di occasioni interessanti per il futuro della band.
Tornando alle composizioni che compongono “Crono”, già dalle prime note di “Lumen Et Umbra” si evince un certo “appesantimento”del songwriting, soprattutto nelle atmosfere perfettamente in tema che non imbrattano l’armonia melodica ben strutturata dalla band. Anzi attraverso questo decorso “oscuro”, la band guadagna tantissimo sotto il profilo emotivo, perché riesce a ricreare all’ennesima potenza quel senso di smarrimento in cui è precipitato il personaggio, donando all’ascoltatore un senso di inquietudine funzionale alla narrazione.
Intanto l’opener, con i suoi tre minuti abbondanti, centra in pieno il bersaglio, alternando momenti squisitamente strumentali a momenti più tirati sopratutto nel refrain, con la melodia che la fa sempre da padrone ed il cantato caldo ed avvolgente di Moreno Sangermano. Una vera delizia.
Laddove un dolce arpeggio di chitarra si mescola con la sapiente architettura della sessione ritmica che rende tutto cosi ipnotico e sfuggente, prende il volo il secondo pezzo intitolato ”Ritmi d’inattività”. Un titolo che a mio avviso esalta fino all’apoteosi quel senso di smarrimento di cui abbiamo parlato in precedenza. Dal punto di vista squisitamente musicale,l’ascoltatore si troverà dinanzi ad un pezzo articolato e ricco di pathos, pregno di elementi AOR che donano eleganza alla composizione senza intaccare la potenza e l’impatto emotivo.
L’inizio,rappresentato dai primi due pezzi non è affatto male, anzi sorprende per freschezza ed autenticità: manca però qualcosina, carenza subito colmata dal pezzo successivo “Perla I”.
Se nei primi due brani non erano mancati l’oscurità, il pathos, l’inquietudine,l’amarezza di un destino beffardo, ora è il momento di elementi che tingono di “rosa” il mondo, rendendolo leggero, soffice e speciale. La dolcezza, sospesa da un delicato assolo di pianoforte che apre il terzo pezzo, è condotta in modo magistrale dalla calda voce di Moreno e da un ospite femminile, in un duetto romantico e malinconico che esalta l’amore vero capace di sollevare i destini del mondo.
Un pezzo lungo che vive di momenti più elettrici, aumentando d’intensità fino all’esplosione finale. Un gioiello di tecnica e spiritualità.
Ma in un album, che sin dai suoi primi vagiti rasenta il capolavoro, non poteva mancare ”il colpo a sensazione”, il pezzo principe, costituito dalla successiva “Entropia”. Parliamo di un pezzo esaltante corredato da un inizio semplicemente sublime, affidato ad un gioco intrigante tra chitarra e tastiera. “Entropia” a mio avviso rappresenta il momento più pesante e più oscuro del disco, non tanto per la velocità d’esecuzione quanto per l’atmosfera che si respira, gelida e severa, alla lunga opprimente ma terribilmente ammaliante. Un episodio sinistro ed avvolgente dotato di un lavoro di basso eccellente ed una sessione ritmica semplicemente perfetta. Un chicca di rock progressive, resa grandiosa dai continui cambi di registro che si alternano lungo il brano.
Il tempo scorre lento e scandisce ogni attimo di questo bellissimo concept. Siamo al traguardo della title-track: il viaggio continua.
”Crono” è un pezzo enigmatico, ”Il regno del Chaos” per parafrasare termini layriani, ma l’atmosfera che si respira è carica di dolcezza e malinconia. Un passaggio stupefacente, cantato in maniera deliziosa, suonato ancora meglio. Consigliatissimo in una notte “buia e tempestosa”, per riscaldare l’anima, e perché no, anche in buona compagnia.
Dopo cosi tanta dolcezza, si ritorna all’antico con “Thanatos”, traccia che comincia subito molto ritmata, nevrotica ed ipnotizzante, ponendo in evidenza delle variazioni sul tema principale: strofe melodiche si alternano a parti narrate, esaltando il valore concettuale della narrazione.
E dopo un breve intramezzo semi-strumentale rappresentato da “Perla II” -un minuto scarso che fa da ponte tra quello che si è ascoltato e quello che ancora deve accadere – si passa all’ottava composizione, “La fuga”.
Una strumentale irrequieta e dai notevoli inserti progressivi, che però dal punto di vista emotivo è un po’ fine a stessa. Un pezzo che comunque recupera alcune indicazioni tecniche interessanti del passato, ben attualizzate ai tempi nostri.
Siamo alla fine di questo estenuante ma grandioso viaggio attraverso il mondo enigmatico ed intrigante di “Crono”, giusto il tempo di analizzare altre due canzoni.
“Quello che il sole non illumina” è un brano molto dotato dal punto di vista tecnico che, tuttavia, pur non essendo in alcun modo sgradevole, si colloca un gradino sotto alle altre ascoltate fino ad ora.
Il momento conclusivo merita invece un’attenzione decisamente maggiore, non solo perché rappresenta la fine del concept, ma anche in virtù dei quattordici minuti che lo strutturano e che, come ovvio, non possono passare inosservati.
“Somnium Dei” è un brano mastodontico, difficile da decifrare e descrivere: l’unico modo è quello di lasciarlo scorrere e permettere alle note stesse di tradursi in emozioni. Ostile, forse troppo articolato, ma terribilmente affascinante. Sfuggente e teatrale, una vera delizia per l’ascoltatore più intransigente. Un vero capolavoro, insomma.
Ci auguriamo che alla fine di questo lungo viaggio insieme, la curiosità abbia fatto il suo decorso nella vostra mente, inducendo a prendere in considerazione un album, “Crono”, di notevole qualità e meritevole di ben più di un ascolto.
La scena italiana, è dunque rappresenta da un’ altra band di elevato valore: si chiamano Layra e se queste sono le premesse, non ci vuole una palla di vetro per prevedere un futuro veramente roseo e pieno di soddisfazioni.
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Tracklist:
01. Lumen Et Umbra 3,17
02. Ritmi d’inattività 5,47
03. Perla-Parte I 8,13
04. Entropia 5,16
05. Crono 4’16
06. Thanatos 4,00
07. Perla Parte II 1,01
08. La fuga –instrumental- 3,20
09. Quello che il sole non illumina 5,16
10. Somnium Dei 14,41
Line up:
Fabio Vitale:Guitar
Alessandro Aversano:Drums
Moreno Sangermano:Vocal
Massimiliano Ganci:Bass
Matteo Ferretti:Keyboards