Recensione: Crossroads
Terzo disco per gli svedesi Portrait, band che, fin dai suoi primi passi, ha proposto un heavy metal classico fortemente influenzato dalle atmosfere intrise di oscurità dei Mercyful Fate e da un pizzico di Judas Priest. Se da un lato questo aspetto ha portato la band svedese a ricevere attenzioni da critica e metalheads, dall’altro ha portato qualche “accusa” di scarsa originalità. Al nuovo “Crossroads” viene dunque affidato il compito di far pendere l’ago della bilancia a favore del quintetto svedese.
Solitamente il terzo disco è il capitolo cruciale nella storia di una band, il lavoro che fa capire se il gruppo possieda o meno le giuste carte per poter fare il salto di qualità dopo le promesse iniziali. Stando alle dichiarazioni di Christian Lindell, chitarrista e mastermind del quintetto svedese, i Portrait sono finalmente diventati quello che lui ha sempre voluto fossero. Forse la solita frase di rito che contraddistingue ogni nuova uscita di una band, resta il fatto che il nuovo “Crossroads” è il disco più maturo fin qui composto dal combo originario di Kristianstad.
Il disco si apre con la eterea “Liberation”, un intro contraddistinto da un arpeggio di chitarra e da delle tastiere in sottofondo. Una sorta di ninna nanna pronta a cullarci e condurci verso orrorifiche visioni in un incubo lungo quaranta minuti. Questa la durata di “Crossroads”. Segue poi “At The Ghost Gate” canzone spettrale ed oscura nel suo incedere. Le influenze Mercyful Fate e Judas Priest continuano ad esser ben marcate, ma nel riffing fan capolino melodie riconducibili ad una certa ala del black metal. Per Lengstedt, con la sua voce a metà tra King Diamond e Rob Halford, riesce ad interpretare al meglio la canzone in maniera teatrale e tecnicamente impeccabile, facendo la differenza. Sarà proprio la voce di Lengsted ed un riffing di chitarra trascinante a coinvolgere l’ascoltatore in un disco che acquista fascino ascolto dopo ascolto. Tutta la band gira al meglio, compresi i nuovi innesti David Olofsson (chitarra) e Mikael Castervall (basso), e partorisce otto tracce di puro heavy metal dalle tinte oscure. Come dicevamo, le influenze di Mercyful Fate e Judas Priest ci sono ancora e sono facilmente riconoscibili, non a caso il songwriting è strettamente debitore agli anni Ottanta, ma le canzoni hanno una marcia in più, tanto che il disco s’ascolta tutto d’un fiato e, arrivati alla fine, si ha voglia di pigiare nuovamente il tasto play. Impossibile resistere a canzoni come la conclusiva “Lily”, una suite di nove minuti, a detta di chi scrive il punto più alto del disco, la canzone con più pathos che riesce ad entrare in contatto con il lato più emotivo dell’ascoltatore. Lengsted è il vero mattatore di questa traccia, stupende le melodie di chitarra, così come si fanno apprezzare le parti di Castervall al basso. Impossibile non segnalare “We Are Not Alone”, in cui le influenze dei Mercyful Fate sono facilmente riconoscibili, o l’ottima speed song “In Time”. “Ageless Rites” è un altra canzone che conquisterà dal primo ascolto grazie alla sua aura oscura, così come la successiva “Our Road Must Never Crossed”. Due tracce che rendono la parte finale del disco leggermente superiore a quella iniziale.
Da segnalare inoltre l’ottima scelta dei suoni che riescono a metter in risalto quell’oscurità che la band vive e vuole trasmettere. L’artwork è in pieno stile Portrait anche se forse la copertina risulta esser la più “fredda” dei dischi fin qui pubblicati dalla band svedese.
“Crossroads” si rivela come un disco che, senza dire nulla di nuovo, saprà conquistare dal primo ascolto gli appassionati delle sonorità più classiche e non solo, un disco che trasmette la convinzione e la passione della band per la causa dell’heavy metal in ogni sua singola nota. Davvero una piacevole sorpresa in questa prima parte del 2014.
Marco Donè
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