Recensione: Crown Of Thorns

Di Gianluca Fontanesi - 8 Ottobre 2024 - 0:21
Crown of Thorns
Band: The Crown
Etichetta: Metal Blade
Genere: Death 
Anno: 2024
Nazione:
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74

La nuova giovinezza de The Crown, iniziata col monumentale Cobra Speed Venom, continua a macinare chilometri, mietere vittime e a sfornare dischi sempre di alto livello. Crown Of Thorns prosegue egregiamente il discorso di Royal Destroyer, pur prendendo strade diverse. Già il titolo, per i fan di vecchia data, dovrebbe essere una chiara dichiarazione di intenti: il nome precedente della band svedese, nel periodo 1990-1998, era proprio Crown Of Thorns, poi sostituito dall’attuale The Crown. La copertina in bianco e nero rimanda proprio alle vecchie demo degli anni ’90 e a un sound mai completamente dimenticato. Rappresenta, secondo le parole di Marco, il ponte della loro città natale, Trollhättan, chiamato Strömkarlsbron; è presente una statua chiamata Strömkarlen. uno spirito d’acqua, e l’immagine dovrebbe riportare a dove tutto è iniziato.

Per questo album non ci si fa mancare proprio nulla, ed ecco fresco fresco un cambio di batterista: si passa dal grandioso Henrik Axelsson a Mikael Norén, e fortunatamente la sezione ritmica dei The Crown rimane sempre il solito carro armato. Di recente è stato annunciato anche il ritorno di Magnus alla chitarra, dal vivo ci sarà da divertirsi.

Crown Of Thorns è un disco che, alla fine dei conti, risulta di transizione; alla fine della fiera però è un percorso necessario per delineare la futura carriera degli svedesi. Il disco è piuttosto lungo, presenta tredici brani (10 + 3 bonus tracks) per una durata di 54 minuti. Le caratteristiche dei The Crown più recenti ci sono, i tratti somatici sono sempre inconfondibili ma i brani proposti sono leggermente diversi. La componente death ‘n’ roll è ridotta ai minimi termini tranne in qualche assolo e si vira verso un melodeath molto potente e, come sempre, suonato alla massima potenza possibile.

I primi cinque brani del lotto sono eccezionali, uno più bello dell’altro. Grandi chitarre, grandi melodie, sezione ritmica allucinante e le linee vocali di Johan sono sempre come quel vecchio amico che non vedi da anni,  ritrovi e sembra che il tempo non sia mai passato. Succede poi quello che in parte era capitato con Royal Destroyer: ai nostri parte la vena e riescono quasi a buttare tutto alle ortiche. Il perché è presto detto: The Night Is Now, God-King, The Agitator e Where Nightmares Belong sono brani assolutamente non all’altezza e confermano ancora una volta come questa band nelle tracce da due minuti non possa funzionare. Questi quattro brani sembrano abbozzati, finiscono e si troncano tutti in maniera inspiegabile e non basta la voce di Elina in chiusura della tetralogia a risollevarne le sorti. La cosa parecchio bislacca è che le tre bonus tracks, Eternally Infernal, No Fuel for God e Mind Collapse fanno completamente sfigurare le quattro tracce nella tracklist ufficiale! Provare per credere! Conclude poi le ostilità The Storm That Comes, che è un ottimo brano e finalmente offre uno sviluppo degno del nome che porta.

Alti e bassi quindi nell’ultimo album dei The Crown, che risulta un lavoro godibile e a tratti ancora impressionante, il cui risultato viene però inficiato da un’incomprensibile scelta dei brani in scaletta; peccato, perché il materiale per pubblicare un altro gran disco c’era eccome, si trattava solo di presentarlo in maniera più lucida.

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