Recensione: Crownshift
Ed ecco in arrivo un altro super gruppo, stavolta composto da musicisti di massima eccellenza come Daniel Freyberg, chitarrista dei Children Of Bodom; Jukka Koskinen, bassista di Nightwish e Wintersun; Heikki Saari, batterista di Finntroll e Amberian Dawn. Giusto per citare alcuni act cui i Nostri fanno parte. Il nome? Crowshift.
Non sempre, però, i super gruppi ottengono i risultati sperati che, ovviamente, si focalizzano nel creare qualcosa di alto livello tecnico/artistico, magari condito da un buon insieme di song sperando di ottenere un lusinghiero successo di pubblico. Le motivazioni affinché ciò non sempre avvenga sono tante e complesse, e si possono pure lasciare da parte poiché i Crownshift, cui “Crownshift” è il debut-album omonimo, sono un gruppo vero e proprio, che accumuna peculiarità di tutto rispetto.
Fra di esse, non si può non menzionare lo stile. Totalmente moderno, immerso pienamente nel 2024, completamente in linea con le sonorità più avanzate nel campo. Ma, quale campo? Modern Metal? No: melodic death metal. Seppure a volte le differenze fra le due fogge musicali siano a volte tenui, i Nostri, oltre a sciorinare melodie dall’altissimo livello compositivo, il più delle volte pestano duro come fabbri, dando al disco un sapore dolce ma che, anche, pizzica rabbiosamente come il peperoncino.
Tuovinen e Freyberg, rispettivamente cantante e… vice, si rivelano essere degli eccellenti conduttori di quanto di buono meditano e creano i loro onorevoli compagni di avventura. Voci pulite perfette ma anche harsh vocals aspre e sanguigne, ideali per definire i contorni di un sound che dire spettacolare è dire poco. Sound straripante per via di una potenza sana, cristallina, dall’elevato numero di watt.
In talune occasioni, difatti, sembra che la formazione finlandese scappi via, a cavallo di up-tempo possenti e trascinanti come accade, per esempio, nella rutilante ‘Rule the Show’. Ma la formazione stessa riesce a essere efficace e concreta anche quando gli up-tempo la fanno da padrone, come nella splendida ‘A World Beyond Reach’, dagli echi che rammentano i Fear Factory nella strofa (sic!). Il chorus è clamoroso è si stampa definitivamente nella parte interna della scatola cranica per non uscirne più. Probabilmente l’hit del disco, se così si può dire.
Molto evidenti le tastiere e l’elettronica che, seppure non menzionate nelle note biografiche, reggono l’intelaiatura della struttura musicale assieme ai robusti riff delle sei corde. Un’ulteriore spinta armonica, questa, che riempie completamente un immaginario spazio chiuso in cui si sovrappone e si trapassa continuamente tutta la strumentazione, voce compresa. Tornando al sound, è evidente che in queste condizioni diventa bello pieno, totalmente scevro da cali di tensione o buchi di energia. Peraltro ci pensano brani come ‘If You Dare’ a mostrare la capacità di erogazione di neutroni ed elettroni poi lanciati alla velocità della luce.
Particolare menzione per l’opener-track, ‘Stellar Halo’, portatrice del seme della modernità. Retta dal più volte citato sound che il combo scandinavo riesce a costruire, con il ricamo ritmico che gli axe-man disegnano a mò di break pre ritornello. Sembra poco, invece dimostra la voglia di andare in avanti, di progredire, di regalare agli appassionati un LP indicativo di un melodic death metal assolutamente al passo coi tempi.
La melodia inserita in “Crownshift” è davvero tanta, anzi tantissima ma non stanca. Non è mai stucchevole e non fa venir voglia di mollare la presa. Perché, dentro, s’intuisce che i Crownshift hanno un’enorme prolificità produttiva enorme, ancora da svilupparsi compiutamente. E quest’ultimo è l’unico neo che si possa osservare in “Crownshift” stesso. Cioè, una coesione non ancora perfetta fra le varie canzoni, come se fosse ancora fine il legaccio che le tiene assieme.
A parere di chi scrive, si tratta solo e soltanto di un peccato di gioventù. Se Daniel Freyberg e soci proseguiranno nel progetto Crownshift, allora, probabilmente, se ne vedranno delle belle; che la strada maestra è già stata tracciata alla grande nei primi, importantissimi, metri.
Daniele “dani66” D’Adamo