Recensione: Crust
I Sadist sono reduci da due fatiche a dir poco entusiasmanti, Above The
Light e Tribe, che li hanno proiettati nel gotha del
Death Metal; indiscutibile infatti è un dato di fatto: arrivati a questo punto della carriera, a soli 4 anni dal debut il
combo genovese è diventato all’estero una cult band capace di reggere il confronto con gruppi che qui in Italia si sono
fregiati del medesimo titolo a dispetto della fama dei nostrani, che di contro almeno ai loro primi vagiti passarono in
sordina.
Quattro anni quindi per consegnarci due platter fondamentali per chiunque ami il technical death metal e la
sperimentazione senza paraocchi che ha condotto alla commistione tra i generi di
primo acchito inconciliabili (per esempio l’uso massiccio delle keyboards in un impianto prettamente death metal). Nei dodici
mesi che sono intercorsi tra l’uscita di Tribe (1996) e il qui recensito Crust (1997) si
sono succeduti alcuni avvenimenti che hanno però minato la solidità dei Sadist: il quartetto composto da
Zanna (Voce), Tommy (Chitarra, seconda voce), Chicco (Basso) e
Peso (Batteria) è andato infatti sciogliendosi come neve al sole per motivi inerenti il marchio registrato
dal chitarrista presso la SIAE. Conseguenza diretta è stata la dipartita di tre quarti del combo con
conseguente innesto di Trevor al microfono, Oinos dietro le pelli ed il ritorno del figliol
prodigo Andy alle 4 corde.
Da quanto detto, accantonando definitivamente i suddetti fatti da cui scaturirono problemi legali perpetratisi nel tempo,
si può certamente dedurre che i Sadist, cambiando pelle, hanno cambiato necessariamente il sound, se non del tutto almeno in
parte e, nel corso dei dieci anni che sono seguiti, il coro del pubblico metal si è indirizzato in maniera
pressoché univoca verso un’unica strada, quella di gridare allo “scandalo” nei confronti di un ensemble di pezzi ritenuti
inferiori alle aspettative riposte nei confronti di quest’uscita, e inferiori se rapportati al materiale antecedente; che
l’ex (e ad oggi nuovamente attuale) band di Peso abbia cambiato parzialmente indirizzo musicale è vero, che il contenuto sia
necessariamente e di gran lunga inferiore questo è però tutto da stabilire: i liguri hanno infatti intrapreso la strada
impopolare e avanti rispetto ai tempi di suonare un tipo di metal diverso da quello sin lì digerito ed assimilato andando a
comporre pezzi dal riffing malato, costituito da stoppati e da uno stile accostabile a quello che i Meshuggah avrebbero poi portato al suo
acme con Destroy, Erase
Improve : malato, pesante, schizofrenico, con il set di pelli quasi in preponderanza sul resto, o
comunque a reggere tutto l’impianto. Difficilmente concepibile una mossa del genere considerando il fatto che già i Meshuggah
sono, tolti forse i solo Coprofago, tra i pochi a suonare in questa maniera e
dividono le platee tra i fan più devoti e i critici più accesi
che riconducono il loro sound a mero rumore spacciato per
musica.
Crust però non è “solo” questo, in quanto quello che è stato il loro trademark in passato anche nel terzo
lavoro non viene a mancare: le tastiere di Tommy sono infatti ancora una volta il collante e si possono tranquillamente
notare e gustare in episodi quali
Perversion Lust Orgasm piuttosto che The Path senza essere invasive, ma semplicemente volte a dare quel quid
di atmosferico che male certo non fa. Un motivo per cui il full
length potrebbe essere mal visto può essere riconducibile all’utilizzo maggiormente “elettronico” che i nostri ne fanno in
tracce come
Fools And Dolts, un esempio di musica pazzoide e fuori dai canoni, ma che una volta assimilata potrà essere apprezzata
per originalità ed imponenza.
L’impronta di Tommy si può respirare a pieni polmoni
allorché si arriverà a brani quali Holy e la title track, che sono di chiara ispirazione progressive e che riportano
la mente dei più avvezzi al genere alle composizioni degli italici Goblin, dediti
per lo più a strumentali (quali sono le due citate) di forte impatto emozionale e piuttosto lugubri nell’incedere, tutte
peculiarità che si ritrovano largamente in questo caso, forti anche dell’apporto del basso in evidenza dell’ottimo Andy, come
anche nell’ottima
I Rape You, che trae linfa vitale da entrambe le anime dei Sadist: quella intimista sottolineata dalle partiture
strumentali, e quella più aggressiva regalata dal riffing vero e proprio e dalla voce graffiante di Trevor.
Pezzi sicuramente più potenti e di impatto sono poi la monolitica Ovariotomy e la canzone posta in chiusura,
quella
Christmas Beat che sembra, stando al suo inizio, parte integrante della colonna sonora di Suspiria, per poi invece indirizzarsi su coordinate sicuramente più consone ad una band
death metal qual è il combo che porta il
moniker Sadist.
Detto tutto ciò, a parere di chi scrive Crust è un disco globalmente inferiore, ma nemmeno troppo, ai due
predecessori; è semplicemente il frutto di menti differenti e in quanto tale vive di una personalità diversa. Trattasi però
di un album che senza remora mi sento di consigliare a coloro che vogliano cogliere le sfumature e i preziosismi in esso
contenuti assorbendone a pieno l’atmosfera cupa e a tratti orrorifica che trasuda, senza dimenticare, e questo è
fondamentale, che anche in questo caso pur senza raggiungere i fasti di
Above the Light, i nostri hanno elaborato qualcosa di nuovo per il periodo, ed è una vera e propria nota di
merito.
Da rivalutare.
Tracklist:
1. Perversion Lust Orgasm
2. The Path
3. ‘fools’ And Dolts
4. Holy…
5.
Ovariotomy
6. Instinct
7. Obsession-compulsion
8. Crust
9. I Rape You
10. Christmas Beat
Formazione:
Trevor – Voce
Tommy Talamanca – Chitarra, Tastiera
Andy – Basso, seconda
Voce
Oinos – Batteria