Recensione: Katharsis

Di Carlo Passa - 29 Gennaio 2022 - 10:24
Katharsis
80

Non che io non conosca la storia dei Praying Mantis, ma una ripassata mi farà bene. E allora scorro la lista dei nomi di coloro che, dalla fondazione della band dei fratelli Troy (era il 1974), ne sono stati membri, più o meno tangenzialmente. Ne cito qualcuno dal mazzo: Paul Di’Anno, Doogie White, Gary Barden, Dennis Stratton, Clive Burr. Insomma, siamo nell’empireo dell’hard & heavy britannico a cavallo tra anni Settanta e Ottanta. E davvero in quegli anni i Praying Mantis se la giocavano con colleghi che avrebbero poi goduto di ben maggiore successo, come Iron Maiden, Saxon e Def Leppard, triade sacra di quella NWOBHM che, pur non canonizzata in alcun movimento riconosciuto come tale, davvero contribuì a fondare l’heavy metal degli anni Ottanta (quanta NWOBHM c’è in Kill’em All!).
Nei decenni la band inglese ha progressivamente fissato il proprio suono in un melodic rock elegante ma mai troppo levigato, rimanendo fedele a certi stilemi propri della NWOBHM, come ad esempio le immancabili twin guitar armonizzate. Non fa eccezione questo Katharsis, che regala con Non Omnis Moriar una delle perle contemporanee della NWOBHM, oltre che uno dei migliori pezzi composti dall’attuale formazione dei Praying Mantis, che certo hanno beneficiato dell’innesto (ormai quasi un decennio fa) di Hans in ‘t Zandt alla batteria e, soprattutto, di Jaycee Cuijpers alla voce, che davvero è l’asso nella manica dei fratelli Troy, offrendo una prestazione calda, ruvida, dinamica e, in una parola, pineamente convincente.
Il vecchio rocker avrà di che godere. Long Time Coming, con quelle armonizzazioni tanto Wishbone Ash, ci riporta ai locali fumosi appena abbandonati dalla cometa delle creste punk, in fretta sostituite da chiodi, jeans attillati e capelli adolescenziali che provavano a diventare lunghi.
Lenta, melodica e cadenzata è la notevole Sacrifice, capace di suonare moderna pur essendo evidentemente un pezzo retro, quasi a dimostrare l’eternità del messaggio di certa musica. Ecco, forse il valore aggiunto dei Praying Mantis sta nella convinzione che, a quasi mezzo secolo dalla fondazione della band, i fratelli Troy ancora mettono nelle proprie composizioni: in tempi di suoni digitali costruiti a tavolino e ripetuti uguali in tanti dischi anonimi e freddi è cosa non da poco.
E che bella Cry for the Nations, che ben innesta un giro portante di tastiera nel rock dei Praying Mantis, che qui si quasi pomp: una lezione di musica e di “tiro” a tante band contemporanee.
Don’t Call Us Now ha un ritornello decisamente da tardi anni Settanta, sostenuto alla grande dal vocione potente ed epicheggiante di Jaycee. Ma tutto Katharsis scorre che è una bellezza, concludendosi con una The Devil Never Changes che è un po’ il compendio di quello che sono i Praying Mantis: grande senso della melodia, arrangiamenti semplici ed efficaci, ritornelli essenziali e mai banali, arrangiamenti sapientemente retro e adattissimi alla proposta, e naturalmente le twin guitar. Insomma, Signori, la NWOBHM!
Se siete tra coloro che avrebbero voluto avere 20 anni nel 1980 (oppure se li avete avuti davvero), Katharsis sarà il vostro godimento: è una macchina del tempo a tratti perfetta, ma non per questo scade nell’operazione nostalgia, perché i pezzi che lo compongono trasudano odore di sala prove e amore per quanto si sta facendo; in vero, tra le più belle parole che si possono dire di un disco.

 

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