Recensione: Crypt of Ice
Per una giovane band death metal, genere fortemente ancorato alla dimensione underground, esordire con un’etichetta importante può essere una grande occasione, ma anche un grande azzardo. I Frozen Soul, quintetto texano nato nel 2018, con all’attivo un demo e un paio di split, trovano subito un accordo con Century Media, label che in anni recenti ha saputo inserire nella propria scuderia act del calibro di Blood Incantation e Skeletal Remains, per rimanere in ambito death.
Dietro un evocativo artwork, aderente allo spirito del progetto, Crypt of Ice mostra fin dai primi accordi le influenze stilistiche della band, peraltro apertamente dichiarate dagli stessi Frozen Soul in sede di bio: un sound che celebra maestri come Obituary e Bolt Thrower, con inserti di death scandinavo.
Riff corposi, spesso medio-lenti, creano un muro sonoro potente e opprimente (vedi la title-track e Arctic Stranglehold), in cui l’impatto non viene ricercato con la velocità a tutti i costi. Il lugubre pianoforte che introduce Hand of Vengeance lascia spazio a ritmi marziali che inducono un involontario headbanging, omaggio a tratti spudorato alla scena di inizio anni Novanta. In Wraith of Death emergono anche ascendenze death-doom di scuola finlandese, con suoni melmosi e un growl che sembra provenire direttamente dall’oltretomba.
Per i Frozen Soul l’inferno non è il regno del fuoco, ma una desolata landa immersa nel gelo, con Crypt of Ice come colonna sonora di una folle corsa in mezzo ai ghiacci. Nella prima metà l’album tende, però, a seguire un po’ troppo la stessa formula, con il riff principale che conduce ogni canzone dall’inizio alla fine, senza particolari cambi di tempo.
Il minimalismo di alcune scelte compositive e la naturale ricerca di groove donano un’atmosfera molto underground a questo debut, rischiando di essere allo stesso tempo punto di forza e di fragilità a seconda dell’ascoltatore che incontra.
Quando invece si fa ricorso a un maggiore e più equilibrato uso della velocità, emergono brani decisamente ben fatti, come Encased in Ice, in cui le chitarre ricalcano il malefico arpeggio iniziale, e Twist the Knife, che trova solidità grazie a un efficace uso del basso. Anche Faceless Enemy mostra che, non appena i riff si diversificano e si toglie il freno alla sezione ritmica, gli esiti sono senza dubbio più interessanti. Ed è proprio un bel lavoro di batteria a dettare i tempi della traccia di chiusura Gravedigger.
Crypt of Ice nasce come vero e proprio atto di devozione verso un certo modo di fare death metal tipico degli anni Novanta. I pezzi che lo compongono hanno forte impatto se presi singolarmente, ma nell’insieme questo aspetto tende a perdersi e alcuni di essi diventano indistinguibili, soprattutto nella prima parte, anche se è indubbia l’efficacia degli stessi in sede live.
In prospettiva probabilmente avrebbe giovato un debutto con etichette più piccole ma di qualità, specializzate in ambito estremo, come Dark Descent o altre, per dare il tempo ai Frozen Soul di far crescere il proprio sound. Imbarcandoci in confronti certamente azzardati, se i Blood Incantation possono essere i nuovi Death, se gli Skeletal Remains i nuovi Morbid Angel, e spingendoci oltre, se i Necrot stanno studiando per diventare i nuovi Cannibal Corpse e i Dead Congregation sono i nuovi Incantation (e potremmo continuare)… i Frozen Soul “ancora” non sono i nuovi Obituary.
Il disco troverà sicuramente spazio tra gli ascolti degli amanti di tali sonorità, ma per i prossimi passi discografici confidiamo in un’evoluzione che possa accentuare le idee migliori presenti su questo esordio, distaccandosi anche solo un po’ da certa ortodossia derivativa.