Recensione: Cryptic Writings

Di Stefano Burini - 27 Ottobre 2012 - 0:00
Cryptic Writings
Band: Megadeth
Etichetta:
Genere:
Anno: 1997
Nazione:
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64

Dalla metà degli anni 2000 i Megadeth sono tornati, contro ogni pronostico, ad essere una potenza del thrash metal mondiale per merito di una triade di lavori che, partendo dal buon “The System Has Failed” e approdando all’ottimo “United Abominations” e al successivo “Endgame”, e riuscita nella difficile impresa di riabilitare un nome che, sul finire degli anni ‘90, era stato infangato da alcuni lavori universalmente ritenuti sottotono.

I due titoli più gettonati nel descrivere la Waterloo di Mustaine e compagnia sono ovviamente quelli di “Risk” e “The World Needs A Hero”. Il primo, in particolare, era l‘album che avrebbe dovuto, nelle intenzioni del vecchio Dave, rappresentare il definitivo sdoganamento dei suoi Megadeth da band di genere a “rock band” di successo planetario, secondo un processo di alleggerimento del suono e di de-metallizzazione iniziato ai tempi del già controverso “Youthanasia” (se non addirittura dal pur fantastico “Countodown To Extinction“) e non troppo differente da quello che tentarono in epoche coeve i cugini Metallica. A fronte del mancato botto commerciale di “Risk”, “The World Needs A Hero” fu un maldestro tentativo di risalire la china tornando quanto meno a suonare dell’heavy metal, seppur l’ispirazione dei tempi d’oro sembrasse ormai solo un lontano ricordo. 

Scorrendo la discografia della band di Los Angeles, a frapporsi tra il citato “Youthanasia” e la tanto criticata successiva doppietta troviamo l’album forse più in ombra di tutta la loro lunga carriera: “Cryptic Writings”. Uscito nel 1997, e prodotto da Dann Huff, personaggio noto per la sua militanza in realtà dedite all’AOR e al melodic rock come Whiteheart e Giant ma di certo non avvezzo al thrash metal tout court, CW rappresentava un ulteriore passo in avanti sul sentiero tracciato da “Youthanasia”. Un lavoro, quest’ultimo, sicuramente da ricordare per la presenza di alcune hit di grande valore, come la superba “A Tout Le Monde” ma, d’altro canto, fortemente penalizzato da una certa inconcludenza di fondo, comune ad alcune delle sue canzoni, e dall’inadeguato cantato di un Mustaine in grande difficoltà su territori troppo troppo lontani da quelli che la sua particolarissima ugola gli aveva permesso di bazzicare fin dai tempi di “Killing is My Business”.

Con questo nuovo album la situazione era più o meno la medesima, permanevano dunque i difetti più evidenti del suo predecessore, ovvero mancanza di mordente ed eccessiva presenza di filler, ma nel contempo risultava apprezzabile quantomeno nelle intenzioni l’idea, una volta deciso di percorrere quel sentiero, di allargare lo spettro espressivo e provare qualche soluzione meno usuale. Certo, saranno stati (e continueranno ad essere) in molti a storcere il naso di fronte all’intro di “Use The Man”, costituita da uno spezzone della canzone “Needle And Pins”, qui nella versione dei The Searchers del 1964, o nell’ascoltare la melodia fin troppo ilare di una canzone come “Almost Honest“ a fronte di un riffing altresì efficace e tipicamente Megadeth-style. Eppure canzoni come “Trust”, un ispirato heavy/thrash a metà tra “Symphony Of Destruction” e “Angry Again”, ancor oggi tappa fissa nei loro live show, o l’indovinato prosieguo della citata “Use The Man”, con le liriche a tema “stupefacente” e l’andamento ciondolante ed ipnotico vagamente grunge, mettono della buona carne al fuoco.  

Anche la vorticosa “Mastermind”, di nuovo in bilico tra heavy metal e thrash levigato in stile “Countdown To Extinction”, la riuscita power ballad “I’ll Get Even” e l’ottima “A Secret Place” si fanno apprezzare per l’ottima costruzione e per i riff molto catchy, mentre “Have Cool, Will Travel” e “She-Wolf” sfondano senza troppi patemi la barriera dell’hard rock melodico. La prima caratterizzata da un’incredibile, eppure azzeccata, armonica a bocca, si rivela come una delle migliori di tutto l’album, la seconda riesce nel tentativo di mixare un incipit di chiara matrice thrash/speed con passaggi strumentali di discendenza maideniana e melodie di facile presa.  

Molti, d’altro canto e come anticipato, i riempitivi, fortunatamente nobilitati in più d’un’occasione dalla maestria in fase solista del mai troppo lodato Marty Friedman, qui al suo penultimo disco con i ’deth e capace con i suoi assolo tecnici e riconoscibili di costituire un solido valore aggiunto per tutte le canzoni, anche quelle più anonime. E’ il caso di “Sin” e di “Vortex”, due tracce non brutte ma semplicemente incolori, perse nel tentativo malriuscito di scimmiottare le atmosfere di “Countdown To Extinction” e di “Rust In Peace” o dell’inutile “The Desintegrators”, quasi una rivisitazione in chiave involontariamente parodistica della furia mutuata dall’hardcore punk degli esordi. La conclusiva “FFF”, con i suoi 2 minuti e 39 di durata, si accoda al trenino dei riempitivi e conferma il tiepido giudizio su un album complessivamente piacevole e, a tratti, anche divertente ma tutto sommato inutile nell’economia della discografia di una band che in quasi trent’anni di carriera ci ha regalato lavori di ben altro spessore, anche in tempi più recenti.

Stefano Burini

 

Nota a margine

Una menzione a parte la merita senz’altro l’atipica (e quantomeno discutibile) copertina scelta da Mustaine e soci per questo album. La discontinuità con un passato fatto di thrash e speed metal, di cui il celeberrimo Vic Rattlehead era una mascotte paragonabile al maideniano Eddie, era già in atto dai tempi di “Countdown To Extinction”. Tuttavia mentre su quest’ultimo e su “Youthanasia” Hugh Syme, l’artista incaricato di prendersi in carico il lato “visuale” dei dischi post “Rust In Peace”, aveva prodotto due copertine affascinanti e riuscite, dal taglio quasi surrealista, l’artwork (a dir poco)  minimale scelto per “Cryptic Writings”, pur tenendo certamente fede al titolo scelto per l’album, non contribuisce a conferirgli un’immagine degna dell’ingombrante monicker dei losangelini. Non a caso dopo “Risk” e con il ritorno all’heavy/thrash metal tornerà a campeggiare sulle copertine dei nuovi album un Vic Rattlehead in forma (quasi) come ai bei tempi e sempre alle prese con le falle di un sistema economico e politico da rovesciare, nella miglior tradizione di casa Megadeth.

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Tracklist

01. Trust 05:12

02. Almost Honest 04:03

03. Use The Man 04:36

04. Mastermind 03:49

05. The Desintegrators 02:51

06. I’ll Get Even 04:24

07. Sin 03:06

08. A Secret Place 05:29

09. Have Cool, Will Travel 03:29

10. She-Wolf 03:36

11. Vortex 03:38

12. FFF 02:39

 

Line Up

Dave Mustaine: voce, chitarra ritmica e solista, sitar in “A Secret Place”

Marty Friedman: chitarra solista, backing vocals

Dave Ellefson: basso, backing vocals

Nick Menza: batteria

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