Recensione: Cult of Sin
Sette full-length, cinque EP, vent’anni di carriera nelle retrovie: è il curriculum dei belgi After All, quintetto originario di Bruges che intende ripetersi ai livelli di This Violent Decline (2006). Preceduto da slogan ai limiti del sensazionalismo, Cult of Sin è in effetti un lavoro competitivo, ma con tutta probabilità non procaccerà quella risonanza che il gruppo ha vanamente inseguito per due lustri. L’offerta consta di uno speed / thrash metal dal taglio moderno, non lontano da quanto propongono le ultime incarnazioni di Paradox o Agent Steel. Di contorno, si odono incisi melodici à la Rage, costruzioni ritmiche mutuate da certo death metal europeo, nonché accenni all’opera dei Nevermore (specie nel rifferama ordito da Christophe Depree e Dries Van Damme). Un album composito, discretamente assortito, cangiante nelle dinamiche ma contraddistinto da una notevole pesantezza di fondo.
La regia di Dan Swanö valorizza le capacità tecniche di un gruppo che impressiona per la potenza di fuoco, ma ripone altrettanta cura negli arrangiamenti. All’offensiva lancinante delle chitarre si contrappongono refrain ariosi, quasi orecchiabili nonostante il fragore degli strumenti; Erwin Casier (basso) e Kevin Strubbe (batteria) compongono una sezione ritmica puntuale, che eccede raramente in partiture cervellotiche. Piet Focroul, titolare del microfono dal 1992, è forse l’anello debole della formazione: se l’espressività è un fattore quanto mai soggettivo, di contro l’ugola non eccelle per duttilità ed estensione. Alcuni titoli sopra le righe: Scars of My Actions, uptempo ibrido che decreta la supremazia della coppia d’asce; l’incedere pachidermico di End of Your World; o la sincopata Devastation Done, thrasher di razza che attenta alle vertebre cervicali. Non è tutto: Cult of Sin vanta un manipolo di special guest che vale la pena menzionare. Land of Sin si fregia di un fuoriclasse come Andy La Rocque, già chitarrista di Death e Guardia Reale alla corte di King Diamond. I “compagni di merende” Agent Steel (Juan Garcia e Bernie Versailles) e Joey Vera (funambolo di Armored Saint e Fates Warning) partecipano alla marcia di Betrayed By The Gods. Le urla micidiali di James Rivera, tornato recentemente al timone degli Helstar, nobilitano Embracing Eternity. In coda c’è spazio per una cover di Holy Diver, eseguita senza stravolgere il canovaccio originale; Focroul non ha tuttavia la stoffa per cimentarsi con un brano del magnifico Ronnie Dio.
Qualcuno obietterà, a ragione, che il modus operandi degli After All sposa una tattica oculata, avara per copione di spunti originali. I belgi ribattono con un songwriting ispirato e la personalità di chi tira la carretta da oltre vent’anni, noncurante di mille traversie. Chiamateli gregari, ma guai a prenderli sotto gamba: a Bruges non si scherza.
Federico Mahmoud
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Tracklist:
01 Another False Prophecy
02 My Own Sacrifice
03 Scars Of My Action
04 Betrayed By The Gods
05 Devastation Done
06 End Of Your World
07 Land Of Sin
08 Doomsday Elegy (2012)
09 Embracing Eternity
10 Hollow State
11 Release
12 Holy Diver