Recensione: Currents
Gli In Vain sono la live band dei Solefald. O meglio, lo sarebbero se quei due si degnassero di andare in tour più spesso che a ogni morte di papa. Essere presentati come la live band di qualcuno, in linea di massima, ma accompagnare in giro due schizzati come i Solefald è decisamente un ottimo biglietto da visita, e la dice lunga su quanto normale possa essere la musica che troverete in un loro disco. “Currents” a ben guardare, è pure il quarto disco dei nostri, e a guardare gli ospiti che vi figurano c’è pure da restare sbalordificati: in assenza di un batterista di ruolo, i nostri prendono a prestito quello di Leprous e Borknagar (che poi è la stessa persona). Mettiamoci vicino Matthew Kiichi Heafy dei Trivium, gente che suona nell’ordine violini, viole, violoncelli e sassofoni e otterremo la sensazione che nelle sette tracce di “Currents” di roba comune ne sentiremo proprio poca.
In effetti, il problema principale, che emerge già al primo ascolto, è quello di definire che ipo di musica facciano in norvegesi. Al di là delle molte voci, gli In Vain non sembrano proporre qualcosa che rompa gli schemi, eppure negli stessi schemi è difficile inquadrare una proposta. Avantgarde sicuramente non è (salva una lontana somiglianza con le Vulture Industries), ma è il genere a cui va probabilmente più vicino, o nel quale sta meno stretto, sicché lo spuntiamo alla casella generi al momento di inserire la presente. Black nemmeno, anche se la derivazione è piuttosto chiara. Progressive estremo (come loro stessi definiscono la loro musica), neppure, non si trova, a ben guardare, qualsivoglia marcato elemento di prog, tuttavia certi riff raffinati richiamano alla mente certo progressive di trentottesima generazione.
Parliamoci chiaro, gli In Vain fanno la loro musica. Una musica dura, ma non troppo. Una musica di facile ascolto, ma non ruffiana. Una musica articolata, ma non cerebrale. Sette pezzi che non faticano a piacere al di là di minutaggi relativamente sostenuti. Sette pezzi che mischiano un growl non troppo cattivo e un cantato non troppo melodico, pure mettono in risalto ottime capacità compositive. Capacità compositive che creano ritornelli molto catchy – “Soul Adventurer” e “Blood We Shed” su tutte. La violenza è ben incanalata dalla opener “Seeker of the Truth” e ripresa in “As The Black Horde Storms”, mentre “En forgangen Tid”, con la sua maestosa atmosfera decadente, è il pezzo più prossimo ai già citati Vulture Industries. “Origin” è indiscutibilmente il pezzo che potrebbe, per linee di clean e guitar work, essere associato al prog di ultima generazione (Circus Maximo, Leprous, magari perfino i Karnivool). “Standing on the Ground of Mammoths” chiude tutto magistralmente riproponendo atmosphere da avantgarde gotico e offrendo un meraviglioso excursus vagamente jazzistico.
In somma, gli In Vain con il quarto disco si confermano essere una band poco allineata e con le idee chiare. I quattro anni di silenzio hanno portato una ulteriore maturazione, che da alle composizioni un aspetto sobrio e non ridondante. Non resta che augurare ai norvegesi di proseguire su questa strada.