Recensione: Curse of the Artizan
La fondazione degli americani Artizan risale al 2008, quando il dinamico batterista Ty Tammeus decide di creare un gruppo Metal con l’ausilio di Tom Braden (voce), Shamus McConney, Stefen Robitzsch (chitarre) e Jon Jennings (basso). Un anno dopo arriva l’esordio discografico grazie all’EP omonimo, ben accolto dalla critica; per avere il primo full lenght Curse of the Artizan, bisogna però aspettare fino al 2011.
Quello che suonano gli Artizan è un Heavy Metal molto influenzato da certi gruppi attivi a cavallo tra gli anni ’80 e ’90: su tutti Crimson Glory, Fates Warning e Queensryche, ma anche Lethal, Screamer e Siren.
Curse of the Artizan è sicuramente uno degli esordi Heavy Metal più interessanti degli ultimi anni: nonostante le influenze già citate, gli Artizan possiedono uno stile abbastanza personale e nessun membro prevale sull’altro. La voce di Braden, sebbene ancora un pochino acerba, è molto personale e adatta al sound del gruppo, i due chitarristi compongono ottimi riff ed assoli, dimostrando anche un buon gusto melodico, Tammeus e Jennings mantengono ritmi ora controllati, ora più complessi, senza perdersi in virtuosismi inutili.
L’album scorre in modo piacevole e spetta alla coppia “Trade the World”-“Rise” rompere il ghiaccio, mettendo in mostra le abilità tecniche degli Artizan, in grado di far perdere l’ascoltatore in un mondo glaciale nelle cui atmosfere riecheggiano i Voivod di Nothingface e Dimension Hatross. Si calca di più sull’acceleratore in “The Man in Black”, più ancorata agli stilemi del Metal classico e parzialmente distaccata dal Progressive della doppietta iniziale. Un pochino prolissa successiva “Fire”, gradevole ma non particolarmente incisiva, mentre “Fading Story” è una buona canzone, anche se si rivela anch’essa un po’ troppo ripetitiva, rifacendosi agli Iron Maiden di Seventh Son of a Seventh Son.
“Game Within a Game” è uno dei pezzi più riusciti dell’intero lotto, grazie ad un ritornello di facile presa e un ottimo assolo con tanto di citazione a “Bark at the Moon” di Ozzy, anche se non è chiaro se questa sia voluta o meno. Ci avviciniamo alla fine dell’album e la brevissima “Torment” spiana il terreno per quella che con ogni probabilità è la più bella traccia di Curse of the Artizan, cioè la lunga (poco meno di dieci minuti) title track che profuma di Piece of Mind sin dalla prima nota ma che mantiene comunque un’impronta personale per tutta la sua durata, diventando via via sempre più complessa senza mai stancare.
In conclusione Curse of the Artizan è il biglietto da visita di un buon gruppo che magari non eccelle dal punto di vista qualitativo, anche se si intravedono già ottime cose, ma di cui potenzialmente potremo sentirne molto parlare in seguito.
Interessanti.
Federico “Federico95” Reale
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Tracklist:
01 Trade the World
02 Rise
03 The Man in Black
04 Fire
05 Fading Story
06 Game Within a Game
07 Torment
08 Curse of the Artizan
Line-up:
Thomas Andrew Braden – Vocals
Ty Tammeus – Drums
Jonathan Jennings Jr. – Bass
Shamus McConney – Rhythm Guitar
Steffen Robitzsch – Lead Guitar (*)
Hermanus Rombouts ha suonato le parti lead nelle tracce “Rise”, “Fire” e “Game within a Game”
Tony Smotherman ha suonato l’assolo nei brani “Trade the World”, “The Man in Black”, “Fading Story” e “Curse of the Artizan”
(* Steffen non ha preso parte alla registrazione dell’album)