Recensione: Cutting the Throat of God

Di Gianluca Fontanesi - 10 Giugno 2024 - 15:34
Cutting the Throat of God
Band: Ulcerate
Etichetta: Debemur Morti
Genere: Death 
Anno: 2024
Nazione:
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80

La Debemur Morti decide, in poco più di 2 settimane, di mettere una pietra tombale sul 2024 estremo sfoderando una doppietta micidiale con Ulcerate e Akhlys: due tra le band più mostruose dei loro generi di appartenenza. Aprono le danze i ragazzi di Auckland, gente che rende superflua ogni recensione praticamente dagli esordi. Non esiste infatti un pianeta o un metaverso dove gli Ulcerate sbagliano disco, e non è nemmeno il caso di Cutting the Throat of God.

Si procede sulla falsariga del precedente Stare into Death and Be Still, con un sound in apparenza più accessibile ma ben ancorato al trademark dei neozelandesi. Gli Ulcerate sono la dimostrazione attiva e vivente di come si possa ancora nel 2024 suonare metal estremo reinventando e reinventandosi. Il risultato? Giudicate voi.

Il disco dura un’ora ed è composto da sette brani in cui la band sfodera il suo intero arsenale. La musica degli Ulcerate è una deriva post death unica e difficilmente imitabile, complice un songwriting allucinante soprattutto in fase ritmica. La prestazione di Jamie Saint Merat dietro le pelli è di quelle totali, con una fantasia e una complessità riservata a pochi eletti.  Le chitarre invece hanno una dimensione particolare in continuo saliscendi tra note basse e arpeggi più alti in grado di offrire un ottimo contrasto; il quadretto poi viene completato dal growl di Paul, come sempre straniante, opprimente e devastante. Non ci sono variazioni di sorta e probabilmente è l’unico difetto da imputare al disco: stilisticamente siamo sempre lì e alla lunga la fruizione totale dell’opera potrebbe risultare un po’ ripetitiva a un ascoltatore poco avvezzo a queste sonorità, ma sono comunque dettagli.

Il parossismo lo si raggiunge col secondo brano, The Dawn Is Hollow, che è un po’ l’apice e la perfetta fotografia degli Ulcerate degli ultimi due lavori. Composizione lunghe, organiche, magmatiche, in cui la musica sembra fragile e vulnerabile come un gattino per poi azzannarti alla gola come un cobra in un amen e senza possibilità di scampo.

Gli Ulcerate non regalano e non hanno mai regalato nulla: la loro proposta richiede tempo e dedizione, ancora tempo e ancora dedizione; sono dischi che vanno assaporati, vissuti, e che ad ogni passaggio rivelano un particolare diverso che prima non si era colto. Cutting the Throat of God è l’ennesimo centro da parte di una band che non ha mai sbagliato un colpo; un altro tassello che va ad aggiungersi a una discografia inattaccabile e in continuo movimento.

Gli Ulcerate non hanno emuli e, ad oggi, non hanno eredi. Il metro di paragone è sempre e solo con loro stessi; godeteveli, i musicisti di questo calibro sono merce rara.

 

 

 

 

 

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