Recensione: Cycles

Di Claudia Gaballo - 23 Aprile 2019 - 0:00
Cycles
Etichetta:
Genere: Metalcore 
Anno: 2019
Nazione:
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67

Quando si parla di band finlandesi raramente si pensa ad un sottogenere come il metalcore, di stampo più statunitense o anglosassone; ma tutti sappiamo anche che in quanto a metal la Finlandia non si fa mancare nulla. I Countless Goodbye ne sono appunto la dimostrazione. Figlia dell’ondata emocore di metà anni 2000 (certe frangette in vecchi video su YouTube non mentono), la band inizia a registrare singoli nel 2011, ma è solo nell’aprile del 2019 che esce il full-lenght “Cycles”. Il percorso della band in questi otto anni è stato intralciato da qualche cambio nella line-up, ma è riuscita comunque a guadagnarsi partecipazioni importanti nella scena finlandese, aprendo perfino agli Asking Alexandria nel 2014.

L’album si apre con ‘The Fallen’, un inno dal testo apocalittico che esplode subito in un growl piuttosto aggressivo, quasi inaspettato. Per un attimo questo lascia presagire un metalcore di stampo più “hard”, con un sound grezzo e prepotente, più simile a gruppi come As I Lay Dying o Bleeding Through. Con il ritornello scopriamo una voce fresca e cristallina, in un’alternanza tra growl, scream e cantato tipica del genere; anche le chitarre sono impostate su schemi abbastanza stereotipati, già spesso sentiti, mentre l’intero pezzo è pervaso da una certa aria di tragicità. Arrivati alla fine della canzone, inizio a pensare che il genere di riferimento di questa band sia l’altra metà del metalcore, quella più tendente al già citato universo emo, più affine ai Finch o i primi Bullet For My Valentine.

Continuando nell’ascolto, capisco che lo sforzo della band stia proprio nel cercare un equilibrio tra questi due mondi. Troviamo infatti alcuni brani molto energici come ‘Hiding From Myself’, ‘Are You With Me’, ‘No Escape’ e ‘Hourglass’, controbilanciati da altri pezzi più leggeri e orecchiabili come ‘Faith In Me’, ‘Memories Left Behind’ o ‘Who We Are’. Uno dei concept che la band ha voluto inserire in questo “Cycles” è la possibile rovina del nostro pianeta a seguito dei danni causati dall’uomo: in questo senso la musica riesce bene ad esprimere un senso di calamità imminente, con atmosfere spesso molto dark e malinconiche.

C’è un solo problema. Prendendo in prestito un’espressione inglese, quest’album fa tanto 2007. Le chitarre, le percussioni, i testi, i titoli delle canzoni, i bridge in cantato che sospendono il ritmo per qualche secondo prima di riesplodere nel ritornello, tutto fa riferimento ad un sound tipico della seconda metà degli anni 2000. Nonostante l’album sia tecnicamente valido e di certo godibile, non sembra uscito nel 2019, suona vecchio di almeno dieci anni. È un po’ come se questi ragazzi avessero fatto bene i compiti a casa: non c’è niente che non vada, se non una strana sensazione di copia-incolla. Il momento più interessante dal punto di vista della sperimentazione, per così dire, è lo stacco di tastiera in ‘No Escape’; niente di rivoluzionario, ma mi sarebbe piaciuto trovare più momenti di questo genere nelle canzoni, se non altro per aggiungere un pizzico di creatività.

Tutto sommato, ripeto, “Cycles” non è un cattivo album. Per i nostalgici di un certo periodo storico e per gli amanti del genere è sicuramente un’opera che vale la pena di ascoltare, dando una chance a questa band di uscire dai propri confini nazionali. Ci auguriamo solo che, una volta raggiunta la maturità artistica, i Countless Goodbyes inizino ad osare di più, cercando di trasformare il proprio sound in qualcosa di più personale.     

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