Recensione: Dall’Alto di una Roccia
I Fiave nascono nel 1998, ma solo un paio di anni dopo iniziano a comporre materiale per realizzare il loro primo demo. Ne passano alcuni altri prima che la band decida di dare un seguito a quel primo, omonimo CD, e inizi a lavorare a questo “Dall’Alto di una Roccia“. Di certo non si può dire che i Fiave facciano le cose di fretta, composto tra il 2006 e il 2008, registrano questo demo nel corso del 2013, ma vede la luce solo nel 2016. Un parto di quasi 10 anni, che, però, sembra ripagare la lunga attesa grazie alla qualità.
Le sei tracce che compongono la tracklist sono legate tra loro da un concept che affonda le proprie radici nel medioevo e nella storia folkloristica del trentino. Vicino a Ragoli, in provincia di Trento, infatti, si trova il villaggio fantasma di Irone (o Iron). Perfettamente conservato, chi lo visita è come se facesse un salto indietro nel tempo fino al 1630, quando il villaggio venne completamente spopolato dalla peste (la stessa raccontata dal Manzoni ne “I Promessi Sposi”). La leggenda narra, ed è qui che si inserisce il concept dell’album, che di tutti gli abitanti solo uno rimanesse in vita, quasi condannato a far da guardia ai morti. Appostatosi in cima a una rupe, dettò il proprio testamento a un notaio che stava a valle, lì convocato dagli abitanti dei paesi vicini. Una volta finito si gettò di sotto, ponendo così fine alla sua vita (e al CD, che termina proprio così).
Il disco si apre con “Il Primo Canto di Preghiera nel Freddo Sentiero di Irone“, una intro composta dal rumore di passi nella neve e l’ansimare di qualcuno che fatica, a cui ben presto di aggiunge un triste e lento accompagnamento di chitarra acustica.
La quiete è spezzata da “E il Custode Accoglieva con Sé Cenere e Morti“, un brano violentissimo di puro raw black metal, velocissimo, con scream al vetriolo e chitarre che segano le ossa. L’assalto musicale non si interrompe neanche nei momenti in cui compare il parlato che declama frasi con abbondante eco ed epicità. Da un brano all’altro la melodia continua, cambiando ed evolvendosi, lasciando tornare a farsi sentire la chitarra classica in “Scorreva la Vita nel Pozzo dei Ricordi“, breve intermezzo acustico che spezza un po’ la violenza del disco, donando al tutto anche una piccola venatura folk.
Con “E con Sé Tutti i Lamenti, Lasciando il Loro Significato al Tempo” si torna a picchiare, seppur premendo meno sull’acceleratore. Curioso il break centrale in cui torna a farsi sentire la chitarra e che mescola i riff black a un ritmo più folkloristico di chitarra acustica, il risultato è veramente buono. Più epico l’inizio di “Delle Parole Restava Solo il Silenzio”, che riprende la voce pulita e parlata con abbondante eco, per poi tornare al black.
A chiudere il disco ci pensa “E le Memorie si Liberarono nell’Ultimo Canto di Preghiera“, brano acustico che inizia con un passaggio di batteria, per poi lasciar spazio alle chitarre e ai riff di sapore black. Si va poi lentamente scemando per far emergere, un’ultima volta, la chitarra acustica, lenta e malinconica, che termina la traccia.
Sotto il profilo delle critiche bisogna dire che la batteria suona un po’ scarica e ricorda a tratti quella dei Metallica in “Death Magnetic“, un po’ più di profondità e di corpo non le farebbero certo male. Inoltre alcuni riff suonano fin troppo simili, limitando quindi la varietà delle canzoni, che finiscono per essere un po’ troppo uguali tra loro. L’idea di una unità stilistica per tutto il concept è lodevole, ma non va confusa con una ripetizione pedissequa di certi stilemi perché può rischiare di essere scambiata per mancanza di idee.
Per concludere, questo “Dall’Alto di una Roccia“, pur nella sua brevita (solo 26 minuti), sembra davvero comporsi come un disco intero, con un suo inizio, uno sviluppo e una fine. Certamente il fatto di essere un concept contribuisce in tal senso, ma bisogna rendere merito al gruppo di aver saputo sfruttare bene l’idea. Qualche incertezza e qualche ingenuità sono da mettere in conto, ma ci sembra che i Fiave se la siano cavata molto bene e che, almeno in questo caso, i lati positivi superino decisamente quelli negativi.
Alex “Engash-Krul” Calvi