Recensione: Damage Control

Di Fabio Vellata - 23 Marzo 2012 - 0:00
Damage Control
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2012
Nazione:
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82

Un’icona del rock duro, una voce che tutti i cantanti del mondo gli hanno sempre invidiato e invidiano tutt’ora, un carisma innato e una passione per la musica a 360° che lo contraddistingue fin dalle sue origini. Questo, signore e signori, è il sempre fenomenale cantante/polistrumentista statunitense Jeff Scott Soto.

Presente sulla scena hard’n’heavy fin dagli albori degli anni ’80, Soto ha saputo elevarsi al ruolo di punta di diamante di un panorama sempre vasto, ma mai sazio di scoprire (o affermare) talenti dediti in tutto e per tutto alla causa. Del resto, fra i primi ad accorgersi del suo talento cristallino non sono stati certamente due musicisti catalogabili fra i meno esperti o alle prime armi: il re della sei corde svedese Yngwie J. Malmsteen prima, e il mago tedesco Axel Rudi Pell poi, decisero di affidare al riccioluto singer l’onore/onere di dare voce ai loro primi album di successo (“Yngwie J. Malmsteen’s Rising Force”, 1984, e “Eternal Prisoner”, 1992). In mezzo, e successivamente, la sua ugola d’oro è apparsa in progetti come Talisman, Eyes, Takara, Soul Sirkus, Human Clay, W.E.T., senza dimenticare il tour intrapreso con i mitici Journey nell’estate 2007.

La voglia di arrivare lontano e la sua dote vocale di inestimabile valore hanno fatto sì che Soto non si fermasse a “qualche” collaborazione (le virgolette sono d’obbligo, visto che sono rimasti in pochi coloro capaci di contarle tutte) d’eccezione. Nella sua sconfinata discografia, infatti, Soto può vantare anche la pubblicazione di quattro album solisti di grande riuscita, come “Love Parade”, (1995)  “Prism” (2002), “Lost In Translation” (2004) e “Beautiful Mess” (2009).

Per nulla pago di soddisfazioni, il suo costante lavoro dà i suoi frutti anche all’inizio di questo 2012, quando la nostrana Frontiers – che oramai ha talmente tanti artisti validi sotto la sua protezione da raggiungere o quasi il numero tendente all’infinito dei progetti di Soto – è pronta a distribuire la sua nuova fatica: “Damage Control”.

Il disco è un puro concentrato di Hard Rock, che viene presentato all’ascoltatore in tutte le sue sfaccettature, partendo dal lato più grezzo ed aggressivo, per arrivare a quello più solare ed armonioso. La partenza è decisamente al fulmicotone: “Give A Little More” e la title-track colpiscono per il loro impatto grintoso ed arcigno, favorito dalla graffiante voce di Soto, che si dimostra pungente pure nella successiva “Look Inside Your Heart” (per la quale è stato girato anche un videoclip). Se “Die A Little”, dal riff d’apertura in pieno stile Neal Schon ai bei tempi dei Bad English – ricordando che delle chitarre si occupano numerosi ospiti dalla classe sconfinata, come Joel Hoekstra (Night Ranger), Dave Meniketti (Y&T), Gary Schutt e molti altri – da un lato riporta la memoria indietro con gli anni direttamente al 1989 (ma ripescando in parte anche il sound dell’omonimo debutto dei W.E.T.), dall’altro “Never Let Her Go”, “Tears That I Cry” e “How To Love Again” sono una sorta di incontro (peraltro decisamente riuscito) tra i migliori Survivor e lo Stan Bush del periodo “Every Beat Of My Heart”, ma con chitarre molto più tuonanti e protagoniste.

Conoscendo J.S.S. e la sua passione per l’AOR, non poteva certo mancare nel lotto almeno una ballad fatta come si deve. Il desiderio è presto esaudito: “BonaFide” è talmente suggestiva al punto da entrare direttamente e con largo anticipo tra i lenti più belli dell’anno in ambito melodic rock, concedendo all’orecchio un meritato quanto necessario riposo, prima che tuoni e fulmini tornino a fare capolino – merito anche del martellante drumming, dove spicca il nome di Jamie Borger (Talisman, Treat, Last Autumn’s Dream) – come accade inevitabilmente con le terremotanti “Krazy World” e “AfterWorld”.

“Damage Control”, dunque, non fa altro che confermare la centralità di un musicista a tutto tondo come J. S. Soto nell’immenso panorama melodico. Circondato da musicisti di grande esperienza, il riccioluto singer americano riesce ancora una volta a far godere i propri fan con un nuovo lavoro roccioso e melodico al punto giusto, ritagliandosi uno spazio tra le uscite più apprezzabili del 2012.

 

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