Recensione: Damnatio Memoriae
Poco conosciuti ai più, i Sacradis sono in verità una delle band per così dire “storiche” del black metal italiano. Sulla scena da 12 anni ma responsabili di un singhiozzo che li ha visti praticamente inattivi per 6 anni di fila, i nostri quattro liguri sono riusciti ancora una volta a levarsi dalle ali della Behemoth per consegnarci la loro ultima fatica, un Damnatio Memoriae che conta di fare la voce grossa in questo 2008 finora piuttosto inoffensivo. Dal 1998 ad oggi, la line-up ha subito alcuni decisi scossoni: tra chitarristi, bassisti e vocalist avvicendatisi nel corso di dieci tumultuosi anni, conclusisi con il recente abbandono del cantante Kadath – immediatamente rimpiazzato dal chitarrista Ulfe – sembra che la band abbia trovato finalmente la stabilità necessaria a guardare avanti.
Grazie a contributi, brevi e incisivi, di artisti del calibro di Argento e grazie a un tour illuminante a fianco di mostri sacri del calibro di Mayhem ed Enthroned, i Sacradis sono riusciti a crescere sia musicalmente che concettualmente, levigando le strutture melodiche particolarmente grezze che caratterizzarono in passato il loro sound, e abbandonando in parte le concezioni anticattoliche che da sempre sono la base del genere proposto in favore di tematiche più moderne, tangibili e improntate sulla socio-storia.
Intrigante e massiccia è la proposta musicale: nonostante le radici siano fermamente piantate nel terreno di un black metal primigenio, sulla tradizione di Immortal e Mayhem per intenderci, questo Damnatio Memoriae ripropone tutta una serie di cliché del black metal più ispirato centellinandoli di traccia in traccia e rendendo il disco un’opera da scoprire e ascoltare con interesse, qualcosa che persino i grandi del genere ogni tanto sembrano dimenticare: la curiosità che spinge a chiedersi cosa accadrà nel riff successivo, lo stridere dei denti in un fischio di chitarra insolitamente lungo, un crescendo di spessore imprevedibile… queste sono caratteristiche che rendono un album degno di essere ascoltato, e queste sono alcune delle carte vincenti di quest’ultimo lavoro di casa Sacradis.
Il cantato convince appieno: anche se il cantante si è allontanato dalla band immediatamente dopo la registrazione di questo lavoro, il suo contributo è determinante. Ottimo “scram growlato” di fulminante scuola scandinava di inizio anni ’90, ben coronato dalla batteria precisa e spietata di una vecchia conoscenza, quel Lord of Fog di memoria Spite Extreme Wing – e ottimo basso, che riesce ad emergere dal marasma di chitarre in una maniera che sa di black metal arcaico e che trascende dalle band ultime arrivate che spesso prediligono un “vulgar display of power”, per dirla alla Pantera, al posto di una fine e cesellata discesa verso un inferno musicale psicologicamente doloroso.
Notevoli le trovate che tradiscono a chiare parole la volontà della band di non cadere nel “già sentito” – vero incubo e allo stesso tempo piacere di chi dal black metal vuole emergere e non immergersi: chitarre si alternano in fade-in e fade-out, voci distorte femminili si avvicendano nel fango dei passaggi più traumatici di tracce come “Epitaph of the Martyr” o “Supremacy of Coscience” fino ad arrivare alla mia preferita in assoluto, “Olocaustum“, che si concede persino passaggi quasi heavy, piccole cavalcate che colgono di sorpresa e lasciano persino subodorare qualche breve inquinamento heathen, di scuola squisitamente scandinava, s’intende.
È dura trovare un aspetto negativo in questo Damnatio Memoriae. L’impegno profuso è evidente e passa dagli strumenti, alla voce, al mixing oculato fino ad arrivare al libretto ben pasciuto e corredato di simbolismi occulti e inquietanti.
Non è un disco eccessivamente rivoluzionario da passare alla storia e al tempo stesso non è un disco che rispetta pedissequamente tutti i canoni del black metal; per questo non è rivolto a una schiera di fan specifici e per questo probabilmente farà fatica a essere inquadrato; tuttavia sarebbe quasi criminale bollarlo come “l’ennesimo disco di black già sentito”. A conti fatti l’ispirazione è davvero di casa nei quartier generali dei Sacradis, ed è lecito aspettarsi grandi cose dal futuro.
Daniele “Fenrir” Balestrieri
TRACKLIST:
1. Intro
2. Epitaph of the Martyr
3. Damnatio Memoriae
4. Thy Celestial Legion
5. Supremacy of Conscience
6. Perversion and Treacheries
7. Olocaustum
8. Redemption