Recensione: Damnation of Regiomontum
Primo album per i russi Tvangeste questo “Damnation of Regiomontum”, registrato nel 2001 in condizioni quasi di fortuna e in uno studio assolutamente non specializzato in musica metal. Nonostante tutti i vari disagi in cui si è imbattuto questo gruppo, il risultato credo sia piuttosto sorprendente e un importante metro di paragone per rendersi conto delle effettive qualità di questa band pressochè semisconosciuta dalle nostre parti al momento in cui scrivo questa recensione.
Il disco si apre con “From Nameless Oracle”, una lunghissima suite di oltre tredici minuti. Ad introdurci troviamo un brano di organo decisamente molto evocativo e solenne che riesce a creare una atmosfera per certi versi quasi sacra dato che un brano del genere non avrebbe certamente stonato in chiesa. Sull’organo va poi a innestarsi il violino, i due strumenti si intrecciano alla perfezione pur nella loro estrema diversità, cosicché dalla solennità dell’inizio si passa a una atmosfera più malinconica. È solo un attimo però perchè nel momento in cui gli strumenti sembrano aver finito la propria melodia, attaccano chitarre, basso e batteria accompagnati dalle tastiere.
Quando fa capolino la voce troviamo uno dei primi punti in grado di far un po’ storcere il naso agli ascoltatori. Lo scream di Miron infatti è abbastanza atipico, lo definirei quasi “gorgogliante”, in ogni caso piuttosto distante dagli standard del black metal. A mio avviso però si inserisce perfettamente nel sound del gruppo, al punto che probabilmente con una voce diversa i Tvangeste probabilmente perderebbero anche qualche punto.
Bisogna inoltre ammettere che come musicisti di fegato ne hanno e da vendere, non è da tutti infatti aprire un disco con una canzone di oltre tredici minuti, in pratica il brano più lungo dell’intero disco. Una scelta che potrebbe essere vista da molti come suicida, mettere una canzone così lunga all’inizio rischia di stancare subito l’ascoltatore facendolo rinunciare al resto dell’album. La traccia invece scorre in maniera estremamente gradevole e non fa pesare quasi mai la sua lunghezza, al contrario, il songwriting è così vario da far spesso pensare che almeno 3 o 4 canzoni siano state fuse insieme.
Elemento che diventerà poi fondamentale nelle composizioni del gruppo è poi la voce lirica femminile spesso usata per alternarsi con quella di Miron. Altre volte le due voci si esibiscono in duetti che a chi non ha avuto occasione di ascoltarli potrebbero apparire cacofonici, ma che in realtà conquistano fin dal primo ascolto.
Indimenticabile poi il brano di pianoforte che apre “Damnation of Regiomontum”, a cui poi si affianca il violino per creare un pezzo di musica tra i più emozionanti che abbia mai ascoltato. Piano e violino si zittiscono e subito vengono sostituiti da chitarre, basso e batteria che riprendono lo stesso motivo, ma naturalmente con ben altro spessore. Subito attacca anche la voce di Miron e subito dopo la voce femminile solista e i cori. Ciò che contraddistingue la title-track, pur con i suoi passaggi a volte violenti, è indiscutibilmente l’atmosfera quasi triste e malinconica che ammanta gran parte della composizione.
La palma di canzone più aggressiva del disco spetta comunque a “Thinking”, la traccia probabilmente più veloce e con i passaggi più violenti. La componente sinfonica non viene mai dimenticata naturalmente, in fondo si tratta di una delle frecce migliori all’arco dei Tvangeste, ma in questo caso se ne resta abbastanza ai margini. A farla da padrone in questo caso è una batteria velocissima e le chitarre che fanno da contorno alla voce di Miron qui veramente ai suoi picchi di malvagità.
Solo cinque tracce, ma musica per oltre 50 minuti di musica, uno sforzo compositivo decisamente notevole per una band che era qui al suo esordio discografico. Cinque tracce piene di idee e soluzioni tali da non far sembrare assolutamente i Tvangeste come una band appena nata, soprattutto per l’estrema maturità mostrata all’atto di sviluppare queste composizioni.
Come si diceva all’inizio diversi problemi però sono rappresentati dalla produzione. Registrato e mixato in uno studio normalmente orientato verso la musica leggera, questo disco soffre di un non sempre perfetto settaggio dei volumi. Alcuni strumenti tendono a sparire sotto agli altri, le chitarre sono spesso piuttosto confuse e impastate e soprattutto la batteria non ha un minimo di incisività risultando con un suono piatto e piuttosto anonimo. Tutti problemi imputabili solo in parte al gruppo che quasi credo sia piuttosto da elogiare per essere riuscito con i mezzi a disposizione a realizzare comunque un album come questo.
Per concludere si tratta di un disco d’esordio che pur con le sue moltissime pecche, si piazza decisamente una spanna sopra anche a molte opere anche più blasonate di gruppi più famosi. Le qualità di questo gruppo sono indiscutibili e questo album rappresenta solo il primo tassello di una carriera a mio avviso degna di essere lunga e molto proficua.
Tracklist:
01 From Nameless Oracle
02 Angel’s Retreat
03 Damnation of Regiomontum
04 Thinking
05 Born to Be King of Innerself
Alex “Engash-Krul” Calvi