Recensione: Damned to Blindness

Di Davide Iori - 21 Dicembre 2008 - 0:00
Damned to Blindness
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Genere:
Anno: 2008
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73

I The Modern Age Slavery sono un progetto nato dalle ceneri di una band Hardcore / Nu-Metal, i Browbeat, autrice di due dischi a cavallo tra vecchio e nuovo millennio. Esauritasi la carica compositiva verso un certo genere e divise le strade con l’ultimo dei membri fondatori, i cinque musicisti si cambiano nome e si ripresentano in veste di gruppo deathcore, sull’onda di band come Whitechapel, Carnifex, Panzerchrist eccetera. Per tentare di differenziarsi dalla massa i nostri danno ad alcune delle loro canzoni una veste più groovy e thrash oriented che, ai cosiddetti rallentoni, o breakdown se si vuole usare un termine esterofilo, affianca sezioni più tirate o comunque riff basati su accordi palmutati che invitano l’ascoltatore a scapocciare. Una bella idea questa, che il tributo finale concesso agli Entombed (di cui viene rivisitata Wolverine Blues) non fa che arricchire di un altro pezzo di gran pregio, idea che però non basta a far fare il botto a questo Damned to Blindness, che presenta brani forse ancora un po’ acerbi a livello stilistico. Vediamo perchè.

Checchè se ne dica i The Modern Age Slavery hanno un’attitudine verso il deathcore senza dubbio eccellente: gli stilemi del genere vengono presi ed interpretati al meglio, sia a livello di singoli riff che all’interno delle strutture prese nel loro complesso; ciò fa si che, se state cercando un’altra band che proponga i classici inizi furiosi in blastbeat seguiti da party groovy che risolvono sui breakdown, non potrete che essere soddisfatti di questo lavoro. Se questa però è la caratteristica vincente dei nostri da un certo punto di vista, essa si trasforma anche nella catena che li tiene incollati indissolubilmente ad un certo ambiente che, sebbene di questi tempi stia riscuotendo grande successo per quanto riguarda il pubblico, da più di un ascoltatore affezionato viene già giudicato come sterile e destinato ad estinguersi. Da Red Lines of Obsession alla “monicker track” The Modern Age Slavery, passando per Damned to Blindness, Vile Mother Earth e A Desert to Die For, troviamo dunque canzoni costruite in maniera abbastanza ridondante purtroppo. Piacevoli digressioni sono invece Drop By Drop, la quale ci mostra la già citata anima thrash della band modenese e presenta nel suo incipit qualche arrangiamento di tastiera davvero godibile che, se riproposto più estensivamente anche in altri pezzi, avrebbe potuto aggiungere un’ottima caratteristica all’album, ma anche a The Sublime Decadence of an Era, che con il suo incedere cadenzato ed oscuro si dimostra un altro episodio molto riuscito, nonostante un assolo davvero elementare.

I The Modern Age Slavery sono dunque una band dal suono internazionale che può tranquillamente paragonarsi ad ogni altro gruppo della scena recente per quanto riguarda il deathcore, anche a quelli più blasonati come Job For a Cowboy, All Shall Perish e Whitechapel. Il problema è che essi, nonostante come già detto cerchino di aggiungere una vena thrash a qualche pezzo, fanno davvero troppo, troppo poco per cercare di essere originali e dunque si dimostrano sì bravi, ma finiscono in mezzo alle uscite da battaglia del genere, a tutti quei gruppi che possono essere utili a far pogare qualche affezionato ai concerti in modo da scaldarlo in attesa delle band veramente valide, ma non sono in grado andare oltre. Come già detto i riff belli ci sono eccome, gli arrangiamenti anche (sebbene a parere di chi scrive siano ancora un po’ troppo scarni per paragonarsi alle grandi produzioni estere), ma i nostri devono trovare una loro via che si differenzi prepotentemente dal resto della massa se vogliono emergere. C’è anche da dire che i cinque modenesi, nonostante la loro esperienza, sono degli esordienti nella scena e che spesso all’interno dei platter d’esordio è più utile per un gruppo dimostrarsi in grado di competere con la concorrenza, piuttosto che cercare di dimostrare direttamente di poterla superare mediante sperimentazioni stravaganti. In questa sede ci limitiamo dunque a complimentarci con loro per averci dato in pasto un disco che sarà comunque amato da tutti i fans non troppo esigenti del deathcore, aspettandoli al varco del secondo album per giudicarli a livello compositivo.

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Tracklist:
1- Progenies of Ancient Slaves
2- Red Lines of Obsession
3- Damned to Blindness
4- Drop By Drop
5- A Desert to Die For
6- Vile Mother Earth
7- The Sublime Decadence of an Era
8- Shell of Perversion
9- Descent to Oblivion
10- Purple
11- The Modern Age Slavery
12- Wolverine Blues

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