Recensione: Danger Money

Di Filippo Benedetto - 17 Aprile 2004 - 0:00
Danger Money
Band: U.K.
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 1979
Nazione:
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88

Dopo un brillante esordio con l’omonimo lp, “UK”, il supergruppo cambiò in gran parte formazione mantenendo però intatta la voglia di stupire il pubblico con un progressive rock di gran classe e di eccellente fattura. La line up presente nel seguente “Danger Money”, disco qui oggetto di recensione, vede la band ridotta, si fa per dire, a trio: Terry Bozzio alla batteria, Eddie Jobson alle tastiere e violino e John Wetton al basso e voce.  Questa formazione, in questo disco, da un’ottima prova sia dal punto di vista tecnico strumentale che sotto il profilo compositivo dando vita ad un lavoro sicuramente degno di figurare tra i lavori progressive di alto livello. “Danger Money” si caratterizza subito per un sound incentrato quasi esclusivamente sul lavoro tastieristico e violinistico di Jobson da una parte e sul preciso drumming di Bozzio. Andiamo ad analizzare nello specifico, quindi, questo secondo album a firma UK.
Apre il disco proprio la title track, “Danger Money” appunto. Questo brano già mostra in tutta evidenza il cambio stilistico del combo, che ci cimenta in una composizione incentrata su maestose orchestrazioni sostenute da una sezione ritmica compatta e di sicuro effetto. Molto suggestiva la intro che precede il tema fondamentale del pezzo, dove le tastiere di Jobson tessono una trama melodica dai toni oscuri e maestosi allo steso tempo. L’atmosfera particolare creata da questa intro viene, di seguito, improvvisamente spezzata dall’irrompere del bel refrain. Da notare l’eccellente lavoro alla batteria di terry Bozzio che costruisce ritmiche complesse ma di grande dinamicità. Molto interessante è la capacità del combo di sviluppare la song lungo atmosfere diverse l’una dall’altra, riuscendo nella parte centrale di questo lungo brano (della durata di ben otto minuti) ad inserirvi una sorta di piece strumentale di grande effetto. La successiva “Rendezvous” viene introdotta da un morbido e suffuso gioco tastieristico al quale poi si aggiunge il supporto di un drumming altrettanto lieve e discreto. L’armonia di questo brano crea atmosfere malinconiche e riflessive e da la possibilità a Jobson di dare prova delle sue doti di ottimo strumentista. In questa track è ancora più evidente lo sforzo degli UK di impegnare l’attenzione dell’ascoltatore non sui singoli strumenti, ma ad un insieme “orchestrale” sicuramente più elaborato della precedente release. “The Only thing she needs” è, al contrario della precedente traccia, una song incentrata molto sulla sezione ritmica. In questo brano Un impeccabile Bozzio e un ottimo Wetton, entrambi in grande sintonia, costruiscono trame ritmiche che con lasciano respiro all’ascoltatore e che sorreggono soluzioni armoniche in continua “evoluzione”. Un bell’assolo tasieristico di Jobson metterà, poi, il sigillo ad una delle composizioni migliori del disco. Un’altra intro particolare, incentrata su linee melodiche oscure, da avvio alla seguente “Caesar’s Palace Blues”. Questa track vede Jobson cimentarsi in orchestrazioni violinistiche pregevoli e suggestive, sostenute da una sezione ritmica dinamica e corposa fino all’irrompere del refrain dove le ritmiche si fanno più cadenzate ma non meno coinvolgenti. Particolarmente interessante è la parte strumentale che chiude il brano in grande stile. La penultima traccia, “Nothing to lose”, si impone all’ascoltatore per un lavoro tastieristico (in primo piano) improntato a melodie di più facile impatto che trovano riuscito sbocco in un bel refrain di più evidente “apertura” armonica. Coe anche nei precedenti brani il lavoro in sede di arrangiamenti è eccellente e ogni strumento svolge il proprio ruolo in perfetta sintonia l’uno con l’altro. In sostanza questo brano dimostra, una volta di più, la capacità del combo di costruire raffinate architetture sonore riuscendo però a colpire dritto al cuore dell’ascoltatore. Come se il disco seguisse un andamento (concettuale) circolare, la conclusiva “Carrying no cross”, quasi riprendendo il discorso musicale della prima song, porta il combo a cimentarsi in costruzioni armoniche complesse sostenute da ritmiche articolate. La più lunga suite del disco (ben 12 minuti quasi interamente strumentali) si sviluppa lungo trame melodiche intricate e a tratti impenetrabili ma sempre di irresistibile fascino, dove Jobson si distingue in modo particolare per abilità nel saper sfruttare tutti i possibili artifizi armonici.Non meno fondamentale per la riuscita del brano è kla sezione ritmica basso/batteria che aggiunge notevole grazia grazie alla indiscussa abilità tecnico-strumentale del duo Bozzio/Wetton.

In conclusione questo “Danger Money” è un album davvero entusiasmante, che non fa che confermare l’indubbia importanza degli UK nel firmamento progressivo degli ultimi venti anni. Finito l’ascolto di questo album mi viene da dire solo questo “sposta solo una frase e la struttura crolla, togli una singola nota e si immiserisce tutto”.

Track listing
1. Danger money (8:12)
2. Rendez-vous (5:00)
3. The only thing she needs (7:53)
4. Caesar’s Palace blues (4:42)
5. Nothing to lose (3:57)
6. Carrying no cross (12:00)

Line-up

– Terry Bozzio / drums, percussion
– Eddie Jobson / keyboards, electric violin
– John Wetton / lead vocals, bass

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