Recensione: Dans la Joie
Au Champ des Morts è un progetto musicale francese che vede coinvolti due ex-membri degli Anorexia Nervosa. Una fitta coltre nero di struggimento interiore, di mestizia e spiritualità si muove e cresce, lentamente, scandita dalle note di “Dans la Joie”, primo capitolo discografico di questa band.
Un sound fedele al black metal, caratterizzato però da una produzione mai eccessivamente distorta e da atmosfere rarefatte e ricercate. Suite oniriche, sensibilità nel saper utilizzare la voce in modi sempre inaspettati e variegati, sono gli aspetti che più ci colpiscono. I pezzi si sviluppano tutto sommato lentamente, cadenze doom che danno respiro alla gestualità degli artisti.
Ampi cerchi, figure che prese singolarmente paiono vuote, ma poi sovrapposte e viste da un’ottica diversa sanno affascinare. Il tempo, qualcosa che noi abbiamo deciso di classificare e creare, ma che in realtà unità di misura non può avere. Emotività che sgorga spontanea e che lasciata esprimere, in tutte le proprie sfumature, regala uno spettro assai ampio di colori.
Partiamo certamente dal black, passando anche al post-rock ed al progressive, unitamente ad un ambient che tutto copre, come fredda nebbia. In questo siamo immersi, trovandoci in un ricordo che, dormiente, osserviamo, senza più esserne afflitti. I brani alternano stati d’animo contrastanti, diventandone noi silenti ascoltatori, osservatori la cui anima specchia l’altrui e personale amarezza.
Lo strazio poi, pian piano si dissolve, irrazionale percezione che mostra la lucida presa di coscienza di un destino beffardo, a cui si può guardare oltre. Lo sguardo volto al lontano orizzonte, tremula bianca luce trasportata da un vento freddo che ci colpisce, ma di cui comprendiamo ora la natura.
Il lavoro delle chitarre, le armonie intessute, fanno da contraltare al comparto vocale che, quando si fa stridulo, rappresenta le più nere cognizioni. “Dans la joie” è elegante, raffinato, gotica tristezza che notiamo nel suo sguardo e che ci affascina, grazie ad una capacità tecnica incontestabile ed alla grande vena compositiva. Ci viene in mente un paragone con gli Alcest, la semplicità di un parco paesaggio in cui le foglie, mosse dal vento, disegnano d’improvviso epici fraseggi.
Il full-length si chiude con ‘La fin du monde’, episodio che oseremmo dire folk, evocativo di una speranza per qualcosa di nuovo, dopo la fine. Se sapranno meglio concentrare i passaggi più coinvolgenti, senza dilatare eccessivamente i tempi, potranno fare un sostanziale salto di qualità, perché il difetto potrebbe essere proprio questo lasciarsi andare, inerti, alla mestizia.
Stefano “Thiess” Santamaria