Recensione: Dark Horse

Di Stefano Burini - 17 Novembre 2012 - 0:00
Dark Horse
Band: Nickelback
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2008
Nazione:
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80

Materiale da maneggiare con cura, i Nickelback, nonostante la (presunta) globale innocuità della loro proposta. Sono in molti a parlarne per sentito dire, o basandosi sui cinque o sei singoli famosi che hanno ammorbato le radio nei primi anni 2000 e sono, al contrario, in pochi ad essersi resi conto del percorso di evoluzione che li ha portati dall’essere dei cloni (comunque più rockettari e meno minimali) dei Nirvana sul vetusto “Curb”, ad assumere una propria identità dai connotati sempre più fortemente hard rock da “All The Right Reasons” in poi.  

“Dark Horse”, in questo senso, ha rappresentato fin dalla sua uscita un vero e proprio enigma: i Nickelback si erano fatti più chitarrai, le ritmiche più spinte e i suoni sempre più duri e moderni, figli tanto del rock alternativo quanto del post-thrash, ma lo spirito e la carica di molte delle canzoni presenti su quell’album, complice forse anche l’ingaggio di quel vecchio volpone di Mutt Lange alla consolle, erano quelli del vecchio hard rock melodico, seppur rivisitati in chiave moderna e personale. Inoltre rispetto agli Alter Bridge, tanto per citare degli illustri “concorrenti”, i rocker canadesi potevano vantare una voce, quella di Chad Kroeger, più aggressiva e meno dolente di quella del comunque grandissimo Myles Kennedy, da sempre ispirata al James Hetfield degli anni ’90 e, in due parole, semplicemente più adatta a cantare motivi meno plumbei di quelli tipici della band di Mark Tremonti, quando non addirittura diretti discendenti da certo party rock.  

Grande fu, dunque, all’epoca la sorpresa, una volta inserito il disco nel player, nel trovarvi della musica così dura ed energica eppure, nel contempo, “ballabile”. Come altro definire, altrimenti i ritmi ancheggianti di pezzi da novanta come “Something In Your Mouth” o dell’ancor più strabiliante “Burn It To The Ground”, a tratti debitrice dei Def Leppard dei tempi di “Hysteria”? Potenti e veloci, da taglio e da sfondamento, in una parola: letali. E non era nemmeno finita lì. “Next Go Round” si configurava come il brano più pesante mai scritto dai canadesi: il riff pesante come un macigno, certe ritmiche da far invidia a gruppi post thrash blasonati, le vocals filtrate: tutto costituiva una perfetta introduzione per un’apertura melodica congegnata meglio di una bomba ad orologeria.  

D’altro canto il DNA dei Nickelback non poteva essere mutato a tal punto da non contemplare più quei momenti rilassati che li avevano resi celebri fino ad allora; non stupisce quindi, scorrendo la tracklist, di trovarvi (anche) delle ballate. Ma a fianco della tipica pop/rock ballad già sentita sui dischi precedenti, e qui incarnata dall’orecchiabile “Gotta Be Somebody”, era anche possibile trovare un gioiellino come “I’d Come For You”, una canzone in cui pareva che la voce di James Hetfield si fosse prestata a cantare una canzone d’amore nello stile dei Bon Jovi di “I’ll Be There For You” e di “Always”: per gli amanti del genere, un must.  

La lista dei pezzi impostati su tonalità più potenti continuava con “Just To Get High”, un hard rock grintoso, illuminato da una bella progressione melodica e da un testo decisamente ispirato, e con la sinuosa “Shakin’ Hands”, dai fortissimi accenti leppardiani e guarnita da chitarre roventi, mentre “S.E.X.” suonava più Nickelback “vecchia maniera”, pur regalandoci un finale a tutta birra. “Never Gonna Be Alone”, retta integralmente dalle possenti corde vocali di Kroeger, risultava piacevole ma un po’ tiepida se rapportata al sound complessivo di “Dark Horse”, viceversa a meritarsi un capitolo a parte era la bellissima “If Today Was Your Last Day”, una sorta di via di mezzo tra la power ballad ottantiana e il lento pop/alterna – rock moderno che i canadesi di certo sapevano e sanno tuttora maneggiare con dovizia. Semiacustica e molto melodica, ma con un filo di mestizia e un testo dal forte lirismo, intonato con grande maestria dal mai troppo lodato Chad Kroeger, si tratta della canzone forse più atipica di tutto l’album, in grado tuttavia di donargli un inaspettato equilibrio.  

Chiude “This Afternoon”, scanzonata e divertente come un sabato pomeriggio tra amici, qualche birra e un tuffo in piscina, piacevole ma tutto sommato poco adatta a far calare il sipario su di un album per buona parte della sua durata giocato su altri livelli di intensità e qualità. Piaccia o meno, se c’è un gruppo che oggi può affermare di aver, almeno in parte, raccolto l’eredità delle band che 25-30 anni fa facevano dell’hard rock melodico il proprio credo, prima ancora delle derive street/sleaze che avrebbero costituito il canto del cigno della stagione dell’hair metal nei primissimi anni ’90, questi sono proprio i Nickelback. Nelle loro canzoni ci sono melodia e finalmente anche potenza: le chitarre hanno molto spazio e la vena delle canzoni è mediamente più elettrica che in passato, né Chad Kroeger si fa problema alcuno a muoversi in più d’un’occasione su terreni melodici di netta marca ottantiana. Il consiglio per i rocker più intransigenti è quello di provare a dare ai Nickelback una possibilità e di valutare la loro musica senza pregiudizi, la sorpresa è dietro l’angolo.

Stefano Burini

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