Recensione: Darkest White

Di Tiziano Marasco - 3 Giugno 2013 - 10:32
Darkest White
Band: Tristania
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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75

Ce li eravamo persi per strada un po’ di tempo fa, i Tristania, e più precisamente eravamo rimasti alla rivoluzione totale del 2007 che aveva fatto seguito ad un disco abbastanza controverso come Illumination. Decisamente il più limato tra le release dei norvegesi, pure anche il più pop, con le sue canzoni molto brevi e molto semplici. Negli anni a venire si sarebbe assistito ad un’incredibile altalena di nomi in tutti ruoli chiave della band, sicché, dei sette che avevano preso parte alle realizzazioni di illumination, sarebbero rimasti solo Einar Moen, peraltro fondatore, e Anders Høyvik Hidle, che da lì in poi avrebbe preso sulle proprie spalle anche il growl. Ingressi importanti invece sarebbero stati Mariangela Demurtas e Kjetil Nordhus alle voci. Vale a dire una cantante con una voce grave e rock, in totale contrasto con quella storica, da soprano accademico di Vibeke Sene, e un navigato professionista, ex Trail of tears e Green carnation, a interpretare il canto tenorile.

Ne venne fuori un disco ancora di svolta, Rubicon, ai limiti dell’hard rock, molto semplice, solido e compatto, eppure costruito quasi totalmente attorno alla voce della cantante italiana. Non certo un nuovo World of Glass, ma comunque un ottimo segnale.Altri tre anni ci ritroviamo finalmente tra le mani questo Darkest white, preceduto dall’omonima traccia audio dataci in pasto alcuni mesi fa tramite youtube, traccia che ci aveva lasciato pronti all’ennesima rivoluzione siccome alla certezza che la linea di Rubicon sarebbe stata parzialmente mantenuta.

Così è, infatti, dato che Darkest White è ancora un disco di goth atipico, molto più grezzo ed immediato. Ciò nonostante i Tristania fanno un piccolo passo indietro nella loro storia e cercano di recuperare qua e là il gusto per le melodie decadenti e dilatate di un tempo. D’altro canto però, la ricerca di suoni più massicci ed orecchiabili rispetto a quelli di una canzone come Year of the rat produce una inevitabile ripartizione di incarichi tra le tre voci. La Demurtas non è più protagonista assoluta delle canzoni ed anzi spesso e volentieri la band preferisce strutturare le canzoni su due sole voci, come già accadeva dai tempi di Ashes, lasciando la terza a riposo.

E però proprio qui emerge in toto la grandezza dei Tristania, testimoniata proprio dall’aver scelto una voce opposta a quella di Vibeke Stene. La nuova cantante, forse con una voce più terrena, è indiscutibilmente dotata di minori sfumature espressive, soprattutto non è in grado di creare quel contrasto angelo / diavolo dei tempi d’oro di canzoni come Endogenesis o Crushed Dreams. Ma proprio per questo si mescola molto meglio con la musica ed ha molto più feeling coi suoi colleghi, sicché, ancora una volta, Darkest White si rivela come un disco omogeneo e compatto mentre al contrario un disco come ashes nella sua continua altalena, finiva per perdersi nel suo voler ben distinte le varie anime che lo componevano. Dunque non causa sbalzi d’umore il passaggi tra le due grintosissime apripista e la più posata Himmelfall, debitrice di certi malinconici Amorphis. Il disco poi si sviluppa su canoni assai difficili da inquadrare e testimonia come i Tristania si siano definitivamente slegati dal background puramente gothic e abbiano intenzione di ritagliarsi un posto tutto loro nel panorama metal moderno, nello stile di altre grandissime band come Gathering o Katatonia.

Altro elemento da apprezzare, e la progressiva scomparsa delle tastiere, quasi impercettibili se si esclude l’ottima ballad Lavender (dove comunque sono tutt’altro che debordanti) in favore delle chitarre, e il passaggio di Einar Moen all’utilizzo di sintetizzatori. Ennesimo elemento che allontana la band dai canoni standard del gothic in uno stile sicuramente metal ma in bilico tra diversi generi o meglio, come si è già detto, in bilico tra Katatonia, nuovi Gathering e qualcos’altro, forse, alla lontanissima, a certo post metal in stile The Mantle.

Insomma, da quel lontano 2007 in cui più d’un dubbio era calato sul loro futuro, i Tristania si sono ripresi alla grande. C’è da aspettarsi che il loro meglio lo abbiano già dato con Widow’s weeds e World of glass, pur tuttavia questo interessante nuovo corso li riqualifica come band indipendente e di libero pensiero, senza precludere le possibilità di nuove sorprese future. Staremo, speranzosi, a sentire.

Discutine sul topic dedicato ai Tristania.

Tiziano “Vlkodlak” Marasco

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