Recensione: Darkness Death Doom
I Runemagick sono del tutto incorreggibili: dopo aver sfornato in passato dei dischi che dire trascurabili è un eufemismo, tra l’altro tramite quella Century Media che li ha scaricati poi appena ha potuto, si ripresentano ora in una veste completamente diversa dallo scialbo death/black di una volta: il doom catacombale. I risultati? Gli stessi: una noia incredibile.
Darkness Death Doom è infatti un album che sin dal titolo promette banalità e luoghi comuni, cosa che puntualmente si avvera con l’inizio dell’ascolto: un’intro caratterizzata (indovinate un po’?) da oscuri canti gregoriani, tuoni e pioggia ci porta infatti alla prima, pesantissima Ancient Incantations, che racchiude nei suoi 7 interminabili minuti tutto quello che non va fatto per creare un disco interessante. Non nego che qualche melodia sia azzeccata, e dato che l’esperienza dei musicisti è praticamente decennale la cosa mi sembra anche abbastanza scontata; ma il ripetere un riff all’infinito senza la minima variazione, neanche in fase di arrangiamento, riesce a rovinare anche i momenti migliori.
La durata dei pezzi si assesta quasi sempre sui 7/8 minuti, e sarebbe quindi necessario che la band provasse a rendere l’ascolto più facile tramite un buon lavoro di rifinitura, ma l’operato delle chitarre è piatto e ripetitivo, così come una sezione ritmica perennemente in 4/4 cadenzato e privo di alcuna variazione; la voce growl del cantante non raggiunge certo le vette di gruppi del filone quali, ad esempio, gli Shape of Despair, ma va comunque detto che riesce ad adattarsi bene al contesto.
Qualche momento di respiro lo si trova qua e là, ad esempio in alcuni campionamenti sparsi e nell’uso di certe melodie arabeggianti, che, abbinate a percussioni di stampo tribale, riescono a fare uscire i suoni ribassati delle chitarre in modo decisamente più personale; niente male per esempio la partenza della terza Eyes of Kali o dell’ottava (quasi) title track DDD. Ma le composizioni sono troppo quadrate e per poter appartenere ad un’uscita del 2003, quando da ormai più di dieci anni il doom ha trovato nuove forme espressive e diverse commistioni, lasciando il conservatorismo ai nomi storici del genere; non si può quindi dire che l’improvviso mutamento di pelle dei Runemagick sia stato azzeccato, se è vero che prima di arrivare all’outro 444 è necessario interrompere l’ascolto più volte.
Dispiace dover vedere una band che in passato aveva suscitato qualche speranza doversi ridurre a seguire come degli scolaretti i dettami di bands che sicuramente però risultano irrangiungibili a livello creativo; per questi svedesi (che tra l’altro in alcune parti d’Europa sembrano riscuotere anche un discreto successo) non resta altro che una nuova bocciatura, nella speranza che prima o poi riescano a trarsi fuori dalla ‘serie B’ dell’area scandinava.
Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli
Tracklist:
1. Intro – CDXLIV
2. Ancient Incantations
3. Eyes of Kali
4. The venom
5. Darken the flesh
6. Doomed
7. Eternal dark
8. DDD
9. Winter
10.Outro – 444