Recensione: Darkness Falls
In una stagione ove la notte è padrona, una calda luce illumina la fredda atmosfera invernale: dalla Gran Bretagna. I Sacred Heart ci regalano (anche se ovviamente questo regalo è da acquistare dai negozi specializzati oppure on-line) il piacere di poter ascoltare il loro terzo album in studio: “Darkness Falls”.
Analizzeremo meglio più avanti questa gradevole novità: per iniziare, preferisco però porre in evidenzia la desueta discrasia fra la lunghezza della carriera del gruppo e la produzione discografica. Già nel 1995, infatti, Paul Stead metteva su il proprio progetto musicale, realizzando però soltanto nel 2004 il primo full-length.
La biografia narra di numerose collaborazioni ed eventi live assieme a titolati musicisti di hard rock / A.O.R., il che potrebbe far pensare che Stead sia stato poco fortunato nell’entrare nel music-business con i Sacred Heart, oppure che gli stessi non siano mai stati in grado di scrivere canzoni interessanti.
Dopo aver ascoltato abbondantemente il disco, propenderei per la prima interpretazione …
Lo stile del quartetto inglese è facile e leggero, ed alcune volte sfora l’ambito natio per accarezzare il rock o addirittura il pop.
La premessa iniziale fa però comprendere che questo fatto non è direttamente legato alla qualità artistica delle composizioni.
Dal punto di vista tecnico il genere non necessiterebbe di apporti virtuosistici; quindi i vari elementi svolgono semplicemente ma in modo impeccabile il proprio compito. Con menzione particolare per il leader Stead, le cui corde vocali recano indissolubilmente le tracce di anni ed anni passati a cantare davanti ai microfoni. Voce calda, vagamente roca, molto sicura. Non troppo estesa, ma ben modulata ed armonica.
Un cantante ideale per il genere, a parere di chi scrive.
Per quel che riguarda l’aspetto che più ci interessa – ovvero la musica – le canzoni che compongono “Darkness Falls” (nella versione CD sono presenti quattro bonus demo) sono un po’ una miscellanea di quanto ci sia in giro nei vari settori classic metal, hard rock, modern rock, commercial / pop.
Troppi?
Si e no; nel senso che tale approccio poliedrico consente di avere alla base più possibilità stilistiche per il songwriting, ma anche di non far mettere bene a fuoco quello che dovrebbe essere il personale ed unico groove del gruppo.
Questo dualismo si riflette nei brani del platter, frizzanti, vari, non troppo omogenei fra loro, ma in ultima analisi, tenuti sufficientemente assieme dalla voce di Stead.
“Down” è per esempio un pezzo di modern metal caratterizzato da un suono di chitarra assai grezzo e dalle linee vocali filtrate; “Best In Me” e “Lay It On The Line” sono classiche canzoni di hard rock melodico, ruffiane ed orecchiabili; “No-One Knows (War)” è la canonica ballata da guancia a guancia; “TV Movie” (top-song, per chi scrive) è A.O.R. allo stato puro assieme a “Top Of The Class”; “What It Takes” è una power-ballad dal refrain che suona come un cristallo, “Forever” è uno slow-rock che ben figurerebbe nei passaggi dei canali televisivi di musica commerciale.
E così via.
Ascoltando e riascoltando, prende piede la forza di coesione imposta dall’ugola di Stead, e alla lunga non si prova nemmeno troppa noia, dato quel variegato amalgama che è il buon “Darkness Falls”.
Il quale, per inciso, non è un capolavoro e nemmeno un album che rimarrà a lungo scolpito nella memoria dei rockers (e questo spiega secondo me, la discrasia più sopra riportata), ma si rivela un saporito … minestrone; anzi, una piacevole sorpresa!
A patto di non esser patiti soltanto di Behemoth e compagni, naturalmente!
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Tracklist:
01. Down
02. Best In Me
03. Lay It On The Line
04. No-One Knows (War)
05. TV Movie
06. What It Takes
07. Top Of The Class
08. Forever
09. Everybody
10. On My Way
11. Music Man
12. Little Miss Sunshine
13. Rock ‘N’ Roll Away
Line-up:
Paul Stead – lead vocals & guitar
Mark Stephenson – guitars & backing vocals,
Dave Thurlby – drums
Darren Jhuboo – bass & backing vocals