Recensione: Darkness, Hate and Cosmic Holocaust
Ci son voluti 5 anni agli Athanor per dare un seguito al quel “666% Necrotic Black Metal” che aveva sancito il loro esordio discografico con un full-lenght. La colpa di questa lunga attesa, però, non può certo essere imputata tutta esclusivamente al gruppo molisano. Sono dovuti andare fino in Messico, bussando alla porta della Satanic Records, per trovare qualcuno che, finalmente, credesse in loro e in questo “Darkness, Hate and Cosmic Holocaust”.
E tenebre, odio e olocausti cosmici sono esattamente ciò che gli ascoltatori posso trovare in questo CD. Gli Athanor, infatti, si rifanno alla più classica scuola scandinava del black metal vecchia maniera. Nulla di innovativo o sperimentale: chitarre, basso, batteria e uno scream al vetriolo capace di vomitare nel microfono tutto il male possibile. Chi si aspettasse qualcosa di nuovo o originale, quindi, farebbe meglio a rivolgersi da un’altra parte.
Questo, però, non significa automaticamente che la proposta degli Athanor sia del tutto da buttare.
I tredici brani che compongono “Darkness, Hate and Cosmic Holocaust”, infatti, si lasciano ascoltare molto bene. I musicisti sanno quello che fanno e dimostrano di conoscere molto bene il genere che stanno suonando.
Non mancano, in ogni caso, le eccezioni. Per esempio un brano come “Thalarion”, composto esclusivamente da un malinconico e ridondante, a tratti inquietante, giro di chitarra, eppure uno dei pezzi più convincenti del lotto.
Se a un primo, distratto, ascolto, inoltre, i riferimenti maggiori sembrano essere quelli a quel raw black metal che ha mosso i suoi primi passi in Norvegia all’inizio degli anni ’90 con nomi come Mayhem e Darkthrone, grattando un po’ la superficie si scopre di più. Canzone dopo canzone, passaggio dopo passaggio nel lettore, il disco mostra che gli Athanor non si son limitati a fare il “compitino” ascoltando i gruppi più famosi, ma che hanno affondato fino in fondo le mani nella materia oscura andando a ritroso nel tempo. Non mancano, infatti, rimandi e passaggi che possono riportare alla mente gli immensi Bathory del compianto Quorthon, i Venom o, ancora, i Celtic Frost, tutti gruppi che sono stati alla base della nascita del movimento black.
Un’altra illustre fonte di ispirazione, però, sembrano essere stati anche gli Enthroned degli esordi. Difficile, quindi, dire se siano state simili rimembranze a convincere proprio Lord Sabathan (ex cantante e bassista proprio del gruppo belga) a partecipare come special-guest a questo album o se sia stata la sua presenza a portare simili influenze. Indipendentemente da questo particolare, ciò che conta è la qualità del risultato finale.
Gli Athanor, dunque, realizzano un valido secondo album che conferma quanto di buono già messo in mostra con l’esordio. La filosofia del gruppo, inoltre, rimane inossidabilmente fedele all’idea di suonare un raw black metal primigeneo, sulla scorta dei grandi padri del genere, senza fronzoli o sperimentazioni. Se da un lato questo tarpa loro le ali per quanto riguarda l’originalità, non si può negare che questi ragazzi abbiano personalità e qualità. Nulla di nuovo sotto il sole, quindi, ma qualità sì e, cosa non scontata, buone canzoni.
Alex “Engash-Krul” Calvi