Recensione: Darkness of Eternity
Ottavo studio album per i prolifici Amberian Dawn, che tornano a graffiare dopo il non più che passabile Innuendo. Darkness of Eternity (sorvoliamo sul titolo…) è una sorta di rilancio della band, che mette in copertina il bel volto della vocalist Capri e punta su una prova muscolare e quadrata.
L’opener “I’m The One” è un buon biglietto da visita: tanta potenza, soprattutto nel drumwork, e un refrain magnetico. Le tinte fiabesche ricordano i Dark Moor che furono, i sintetizzatori anni Ottanta gli ultimi Stratovarius, un accostamento di moderno e “antico” che risulta vincente. Ma è presto per tirare conclusioni, il meglio deve ancora venire. La levità pseudo-pop di “Sky Is Falling” strappa più di un sorriso, il metal di fine anni Dieci nel ben o nel male si sta ibridando in tal senso e non ce ne lamentiamo. La forza dei finnici sta, tuttavia, nella loro capacità di pigiare sull’acceleratore in men che non si dica. Così la successiva “Dragonflies” (lett. “Libellule”) è una killer song dai bpm proibitivi. Joonas Pykälä-aho picchia dura sulla doppia cassa, sembra l’Holzwarth di “Tornado”, e non mancano inserti di clavicembalo che seguono il dettato di Jens Johansson. “Dragonflies” è uno dei brani meglio riusciti, il più lungo e tra i più rappresentati di Darkness oF Eternity, il break centrale è d’applausi, epico nel suo baluginio selenico. Fuochi d’artificio dei tasti d’avorio anche in “Maybe”, un hit commerciale e catchy che però non grida all’eresia. I Battle Beast 2.0 come suonano del resto?
L’alternanza pop-metal trova conferma con l’attacco ipervitaminico di “Golden Coins”, altro centro in scaletta, che sprizza energia e invita a un doveroso headbanging. Capri non sbaglia una nota, sugli acuti è magnetica e suadente, restando equidistante dalle colleghe più blasonate Tarja e Floor Jansen. E di “Luna My Darling” che dire? Difficile non restare rapiti da un titolo simile: la dea Luna ha stregato poeti e musicisti dall’alba dei tempi, chi la chiama in causa gioca sul sicuro. Segue il pezzo più breve in tracklist, “Abyss”, che sa di già sentito, ha un avvio poco promettente, ma si guadagna la sufficienza nel ritornello. Niente di nuovo anche in “Ghostwoman”, se non qualche sonorità vagamente orientaleggiante e la presenza del chitarrista Elmo Karjalainen (Conquest, Seagrave, Deathlike Silence); nel finale, i toni si smorzano e si lascia spazio a sonorità più dilatate. “Breathe Again” è la ballad strappalacrime da pelle d’oca che non poteva mancare all’appello (Capri qui sembra Sabine Edelsbacher), mentre la title-track è il secondo movimento (quasi un lento) della fantomatica “Symphony n°1” iniziata con Innuendo. L’album si chiuderebbe su tinte magiche e fiabesche, dunque, se non fosse per la bonus track “Anyone”, rinfrancante quanto basta.
Darkness of Eternity suona più quadrato del precedente Innuendo, complice una produzione più pulita e chirurgica. Chapeau a Capri e alla coerenza d’intendi degli Amberian Dawn, band poco nota ma ancora con alcune frecce al suo arco. Quest’album si rivela (di poco, ma comunque e complessivamente) superiore a The Dark Element della coppia Olzon–Liimatainen e ai Vuur di Anneke Van Giersbergen.
Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)