Recensione: Darkness With Tales To Tell

Di Mattia Di Lorenzo - 17 Maggio 2007 - 0:00
Darkness With Tales To Tell
Band: Manticora
Etichetta:
Genere:
Anno: 2001
Nazione:
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87

Vedendo i votoni che io e Roberto Gallerani continuiamo a affibbiare ai Manticora, potrebbe venire il dubbio che siamo larghi di manica. Vi sbagliate! È musica eccezionale quella proposta da questo gruppo, non mi stancherò mai di ripeterlo. Se non la conoscete, fate di tutto per trovarla, ascoltarla, averla! Questi primi cd sono molto difficili da trovare oggi, vista la poca diffusione che ebbero al tempo dell’uscita, e il poco successo anche delle ristampe. Ma qua e là si trovano le economicissime edizioni della Scarlet, veramente eccellenti nel rapporto qualità/prezzo. Non lasciatevele scappare, assolutamente! Anzi, appena vedete un loro banchetto ai concerti, saltategli addosso chiedendo di questo gruppo. Non ne resterete delusi.

Darkness With Tales To Tell è l’album della discordia. Poco prima del suo concepimento, fallisce il primo tentativo di organizzazione di un tour europeo per la band; la prima via del successo è clamorosamente chiusa. Durante la produzione, poi, avviene lo split con la greca Black Lotus; e poco dopo l’uscita, nonostante le ottime recensioni europee, la line-up della band cambia drasticamente, con l’addio del bassista Rene e del chitarrista solista Flemming. Per tutti questi motivi, forse, l’album non è ricordato in modo del tutto positivo dalla stessa band, che ripete costantemente che il “cambio di pagina”, in termini qualitativi, è avvenuto a partire da Hyperion. Hanno ragione, parzialmente, ma non si può non ammettere che questo secondo cd è un capolavoro di potenza e talento, con canzoni degne di rientrare nella personale top10 di qualsiasi ascoltatore power.

Le caratteristiche dell’esordio permangono tutte anche nel seguito: le canzoni sono immediate e di facile ascolto, sebbene molto, ma molto energiche. Una commistione di elementi che ha prodotto veri capolavori in Germania (Helloween, Gamma Ray, Blind Guardian), perfettamente seguita dai Manticora con voglia e tensione verso il meglio. Questo è l’album meno sperimentale del gruppo danese, che, lo sappiamo bene, di sperimentazione se ne intende. Qui le concessioni agli altri generi sono davvero poche: è power puro, punto e basta. Ma che power!
Questo album, permettetemi un altro elogio, è sullo stesso livello qualitativo dei migliori album dei Bardi. È mancato solo il successo.
Elemento vincente, la pervasività dei suoni di tastiera: un appoggio fondamentale, sia come sostrato armonico che nei soli, in un modo che mancava nel debutto e mancherà in futuro (dopo lo split col tastierista avvenuto in corso di produzione di Hyperion). Ben tre gli strumenti solistici di effetto in questo album, e la resa si sente: per il power, a mio parere, 6 è il numero migliore di elementi per una band (2 chitarre, per avere sempre un degno sostegno accordale anche nei soli, tastiera,  basso, batteria, voce). Certo, gestire una band così composita non è facile, quasi nessuno ci riesce (e anche i Manticora non ci sono riusciti…). Ma produce i suoi frutti.
I pochissimi elementi negativi sono la mancanza di una struttura complessa a livello di testi (eccezion fatta per la seconda parte della Saga of Exiles, che termina qui con Felice e The Nightfall War), e, talora, il cantato di Lars, che qui non sfoggia certo la sua miglior prestazione, essendo più portato per i passaggi thrash che per gli acuti del power più tirato. Non è che sia negativo del tutto, intendiamoci! I suoi sforzi, anzi, sono degni di un encomio, in quanto cerca di andare anche dove la sua voce baritonale non gli permette. I Manticora non hanno paura di osare. E non mi sento di denigrare chi ha coraggio.

Ma eccovi le canzoni: “From Far Beyond” è una brevissima intro recitata d’atmosfera. Il titolo è quasi lo stesso dell’album precedente, ma stavolta il risultato è un po’ più sensato.
The Chance of Dying in a Dream (bellissimo il titolo e l’idea di fondo) è una sparata su tempi incredibili. Caratteristiche inconfondibili della canzone sono i melismi su ogni verso della strofa, e il ritornello in toni ascendenti semplicissimo e massimamente efficace: scream, Scream, SCREAM!!! L’acuto è un po’ troppo “falsettato”, ma pazienza… I soli introducono la vocazione strumentale dell’album, il bravissimo chitarrista e il tastierista prendono i posti di comando.
Dynasty of Fear, composta da ben tre membri della band in cooperazione, è un concentrato di melodia avvincente e riff azzeccatissimi. Nella strofa voce e chitarre duettano alla grande, impossibile non cantare anche sull’avvincente tema strumentale. Il ritornello è più disteso del precedente, come d’altronde tutta la traccia.
Ma veniamo al vero capolavoro! Se l’album vale quasi 90, questa canzone è da 100 ad occhi chiusi! Chi ha detto che l’“extreme power metal” l’hanno inventato i Dragonforce? Ascoltatevi questa, poi ditemi se i Manticora non ci hanno messo lo zampino! La batteria incalza su ritmi allucinanti, non c’è un solo momento di pausa. Ma quello che conta è che la melodia non è sacrificata all’esasperazione della tecnica, anzi! Ogni secondo della canzone si imprime nel cervello dell’ascoltatore come un chiodo, mettendolo a rischio di insonnia. Carica, passione, forza. Senza indugio definisco questa canzone la migliore dei Manticora fino ad oggi… E dire che di belle canzoni ne hanno fatte! Meritano una menzione anche gli inserti in stile classico, come la stupenda progressione di tastiera nella sezione solistica. Come si può lasciar cadere nel nulla un lavoro del genere?
Felice ci concede qualche secondo di pausa. The timegate remains closed, la saga riparte da dove si era interrotta. Flemming mostra di saper essere molto espressivo, oltre che molto tecnico, un chitarrista coi fiocchi! Poi il ritmo torna ad alzarsi, il mini-concept si dipana per un totale di 10′, tra questa canzone e la successiva The Nightfall War. Non entro nei dettagli, stavolta, se non per dire che le caratteristiche sono quelle che rendono eccezionali i lavori futuri dei Manticora: ritorno di elementi tematici, alternanza di parti lente e veloci, musica e testo che si compenetrano e si assecondano l’un l’altro sulla scia della narrazione. Elemento in più, ripeto, le orchestrazioni finissime di tastiera.
The Puzzle è una ballad molto riuscita e di struttura libera, con inserti più pesanti e sezioni classicheggianti. Lars non dà il meglio delle sue possibilità, anche se la prestazione migliora nel corso dei minuti. Ci pensa il batterista a dare spettacolo, imitando Thomen Stauch nella ricerca dei ritmi più vari su comode basi di chitarra. Se si pensa al classico assolo esibizionistico del power, tutto velocità e tonalità stridule e altissime, non si capisce la grandezza dei Manticora. I soli di questo album sono vere e proprie sezioni strumentali, multiformi e complesse quanto, e forse più, delle parti cantate. Se si pensa di arrivare alla fine del secondo ritornello ed avere già esaurito quanto c’era da sentire della canzone, si commette un errore imperdonabile.
Critical Mass è la canzone più cupa del cd, che in genere è molto più “allegro” di altre produzioni dei danesi. La tastiera si aggroviglia in un tema contorto e circolare, che non lascia aria alla composizione, racchiusa nel dramma intimistico.
Shout è, sin dal titolo, l’unica canzone che esula dagli schemi del power. Gli inserti sono quelli thrash tanto cari all’impostazione vocale di Lars. Il ritornello è molto convincente, pensato anche, brutalmente, per permettere al pubblico di cantare. In virtù della scaletta, che propone la canzone più tetra subito prima di questa, il cambio stilistico non si percepisce come dissonante. Ottima cura dei dettagli, dunque, anche negli aspetti più minuti e apparentemente insignificanti.
Con The Twilight Shadow si torna nel campo del power propriamente detto. Vi consiglio vivamente questa canzone come “assaggio” del cd per un motivo semplicissimo: è possibile ascoltarla gratuitamente, legalmente e interamente sul sito ufficiale della band nella sezione Media-Mp3 Player. A confronto con le altre canzoni ascoltabili, pur ottime, questa spicca per la sua “ariosità” e per i temi di tastiera, che la avvicinano molto al power nordico e “artico”. Senza banalità. Questo bisogna sottolinearlo sempre.
Come già nell’esordio, il cd si chiude con la lunga e complessa Shadows with Tales to Tell, che, anche stavolta, condensa in sé tutte le caratteristiche dell’album. Sono canzoni-riassunto quelle che chiudono i cd Manticora, vale praticamente per ciascuno, compreso l’ultimo The Black Circus pt. II. La linea melodica dei ritornelli, particolarmente enfatizzata, è un’altra caratteristica distintiva. Solitamente sono proposti con molte ripetizioni, per lasciare un’impronta musicale ben precisa nella mente dell’ascoltatore che si sta congedando. Il test attuato su me stesso, valido per tutti e 5 gli album, conferma che egli continuerà a sentire gli eco nella testa dell’ultima canzone ascoltata per diverso tempo.

Direi che può bastare. Di elementi per invitare all’ascolto mi sembra di averne dati a sufficienza. Dragon’s Mist vale da sola voto e acquisto dell’album, che nel complesso è un condensato del meglio del primo linguaggio Manticora. Pur considerando obiettivamente la nuova tendenza della band come più personale e sentita, non posso non rimpiangere in certi momenti questo power spigliato ed elegante, che sa calarsi nella tradizione senza essere ripetitivo, o scopiazzato dai gruppi più importanti.
I Manticora da questo cd si aspettavano molto, e giustamente. Ma il mondo è crudele. E così, anche il voto risulta sottostimato: il fatidico 90 l’avrebbe raggiunto di sicuro, Darkness With Tales To Tell, in altre condizioni di fama e di mercato. Sarebbe quasi un classico, degno di girare per anni e anni nei lettori degli amanti del metal. Ma non è stato il suo destino. Prendiamo atto.

Tracklist:
1. From Far Beyond
2. The Chance Of Dying In A Dream
3. Dynasty Of Fear
4. Dragon’s Mist
5. Felice
6. The Nightfall War
7. The Puzzle
8. Critical Mass
9. Lost Souls
10. The Twilight Shadow
11. Shadows With Tales To Tell

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