Recensione: Das Seelenbrechen
Dal capitolo V della saga Ihsahn: alla scoperta dell’ignoto!
Potrebbe essere il sottotitolo di “Das Seelenbrechen”, nuova fatica della mente degli Emperor, a distanza di un anno dal precedente “Eremita”, in cui il geniale norvegese dipingeva in musica le sue esoteriche visioni, scomodando ambienti world e avanguardistici, grazie anche alla complicità del sassofonista Jørgen Munkeby. Questo nuovo episodio vede una virata verso ambiti ancor più sperimentali e intimi, che s’intrecciano con un agrodolce uso dell’elettronica e con le tante improvvisazioni libere, in cui il regno dell’astrale turba i nostri più profondi strati, disorientandoci in ogni singola traccia. Il tutto permeato sottilmente da elementi oscuri, inseriti in contesti spazio/temporali indefiniti, che si scontrano con le forze del bene, che spesso prenderanno il sopravvento, almeno in apparenza. Credo che per i più convinti sostenitori di Vegard Sverre Tveitan sia difficile entrare in sintonia con la sua ‘nuova pelle’, soprattutto se il primo ascolto non vi lancia input positivi; ma qualora riusciate ad arrivare sani e salvi alla conclusione allora il più è fatto. Ma andiamo con ordine, con la speranza che il track-by-track sia di aiuto allo scopo.
L’introduttiva “Hiber” è permeata di poliritmi inseriti su un groove staccato, che si spezzano con un paranoico arpeggio di synth, e danno linfa vitale per introdurre l’unicità della voce di Ihsahn, che ben presto si de-frammenta per incontrare e scoprire nuovi mondi, sommessi e nascosti. Il tutto è ‘infastidito’ da una leggera componente noisy che rilancia quello che è il vero tema principale, dettato da una figurazione ritmica sul charleston, e dagli stop degli altri strumenti, che fanno risaltare la sua immensa ugola. Ma il tempo di riaprire gli occhi e saremo da tutt’altra parte del pianeta, con un piano che arpeggia tra Scriabin e la Russia in versione minimalista, sul quale si staglia il lato poetico della voce di Ihsahn, con echi di un Greg Lake sulla title-track del masterpiece “In The Court Of The Crimson King”. La linea melodica detta l’andamento e l’inserimento di colori strumentali su una lenta rumba, preludio alla maestosità dei quattro lunghi accordi sui quali irrompe il timbro unico che ha reso gli Emperor e lo stesso Ihsahn padri/padroni della scena estrema musicale.
“Regen” scorre via con le tastiere che danno quel tocco sinfonico ormai noto che sfocia in una sezione aperta con un solo chitarristico esatonale, prima di chiudere e catapultarci nella successiva “NaCl”, dove l’alternarsi del maining riff con la voce avvolta in un’atmosfera alla Cynic, è costruito intorno alla batteria, che a mano a mano raggiunge un livello ottimale per far esplodere il brano in una sezione ‘open’. Una progressione di elementi che confluiscono nel riff principale, manomesso e dinamicamente essenziale e tangibile, tiene nascosto quello che sarà il finale, che crescendo a poco a poco ci conduce a quell’ultimo pensiero positivo, prima che il cerchio si chiuda nuovamente con quel riff che vi terrà svegli tutta la notte.
Gli sprazzi di elettronica su “Pulse” ci regalano una sorta di ballad in world-style, colorata al punto giusto e con un suo specifico equilibrio interno, caratteristica dell’intero disco, che estremizza i vari momenti. E non potrebbe esser diversamente: Ihsahn è tra i maggiori esponenti delle forme e della sostanza che rendono le sue sperimentazioni uniche e personali. Emozioni infinite prendono il sopravvento con la loro folle contrapposizione, alternandosi come fa la sua ugola, che in “Tacit 2” si lancia tra amorfe dissonanze e un free jazz in cerca di un improbabile dialogo con il drumming di Andersen; tra fuoco e fiamme il suo screaming riesce a essere evocativo e coinvolgente senza dare nulla di scontato. Delirio soffocato solo in parte da un pizzico di synth che scatena le ultime energie della batteria, che imperterrita continua a elargire le ultime scosse elettriche.
“Tacit” invece riprende il discorso avanguardistico tra synth e scariche paranoiche che vanno a contrapporsi in un tempo di marcia calcato da synth floydiani che sfociano in una sezione in cui i break pretendono una certa libertà da parte delle tastiere, prima di rientrare nell’orbita iniziale che vede l’evocazione graffiante e struggente da parte di Ihsahn, come la storia ce lo ha consegnato con gli Emperor. “Rec” è il giusto riposo dopo il delirio, il meritato abbandono con il contrabbasso che sostiene gli archi e la batteria che si svincola liberamente dal discorso; la voce narrativa gli si alterna affinché un riff acido e la voce armonizzata che richiama gli Alice in Chains va a destabilizzare la poesia in un confuso finale.
“M” prosegue il discorso timbrico con gli armonici del violino che fanno da contraltare al contrabbasso che sembra viaggiare su galassie distanti, e la voce in arrivo da una stazione orbitante è quanto di piu’ oscuro e misterioso ci si possa aspettare. Ma il lancio che avviene dalla batteria ci riconduce al 1975 in ambito “Shine On You Crazy Diamond”, sul quale si staglia un solo di chitarra melodico che rimette in pace uomo e cosmo, dissolvendosi su se stesso in un lancinante feedback. “Sub Ater” continua il viaggio psichedelico nel mondo del Re Crimisi, con i suoi arpeggi in’n’out nel mondo tonale, e la voce che gli si alterna, facendo di tanto in tanto una breve apparizione, così come la batteria, usata come colore aggiuntivo piuttosto che come ‘portatrice’ di ritmo, se non per la parte finale, che insieme alle sonagliere ci conduce verso un inatteso e sorprendente finale.
Il lancinante feedback riprende vita per alternarsi ai synth nell’epilogo “See”, e lo fa in un modo ai limiti della sopportazione, finché le fruste sul rullante danno il via al momento di aria e libertà, in cui ognuno si esprime in maniera spontanea e indipendentemente, non condizionato dal resto. Un suono proveniente da molto lontano si fa a mano a mano più presente per distogliere l’amosfera dalla follia, e il caos diventa autentico e impregnato di elettronica. L’aria non è mai satura e i respiri e i silenzi tra i vari avvenimenti sono parte integrante del discorso. Non ci sono certezze, nessun elemento a cui appigliarsi, solo il continuo temporale di fatti che si susseguono senza alcuna (apparente) logica. Il filo è sottile e facilmente si cade dalla parte dell’abbandono; pochi sono i temerari che non si lasceranno tentare dalla fuga, e il dovere di arrivare fino in fondo è l’ennesima sfida musicale di questo geniale e talentuoso artista, che si è saputo evolvere in ambiti oscuri e disparati, non sempre compresi, ma sempre stimolanti e affascinanti. Ogni respiro, ogni intervento è calibrato e non aggredisce gli elementi sottostanti, in primis l’uso della batteria come fosse uno strumento a fiato.
Va riconosciuto che Ihsahn è uno dei cardini del black metal e della ridefinizione e raffinazione del termine e dello stile, lì dove in pochi(ssimi) sono riusciti a restare a galla non ingoiati dalle vicende di due decadi fa, e soprattutto carenti di fantasia e del gran senso di plasmare la musica a propria immagine e somiglianza. ‘Lui’ continua a scolpire perle, incastonate nella sua infinita creatività, visione di un ambiente musicale fin troppo spesso riciclante, saturo e stantio. Con grande e profondo rispetto.
Vittorio “versus” Sabelli
Discutine sul Forum nel topic relativo!