Recensione: Dawn For The Living

Di Marco Tripodi - 5 Gennaio 2017 - 9:00
Dawn For The Living
Band: Grinder
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 1988
Nazione:
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70

La sacra triade tedesca è arcinota ed è composta da Pink Cream 69, Bonfire e Sinner… sto scherzando, la vera trimurti ovviamente risponde solo alle legioni comandate da Sodom, Destruction e Kreator. E tuttavia a metà anni ’80 la Germania godeva di un certo affollamento anche tra le seconde file, vedi Holy Moses, Vendetta, Deathrow, Tankard, Angel Dust, Rage, Mekong Delta, Living Death, Paradox, e i Grinder, che sono l’oggetto del contendere in questa recensione. La band di Francoforte arriva leggermente in differita rispetto a “In The Sign Of Evil“, “Sentence Of Death“, “Endless Pain“; due demo tra l’85 e l’87 poi l’esordio su No Remorse Records con “Dawn For The Living“.

L’impronta che lascia con il debutto però è solida e ben visibile, non un sasso nell’acqua. Lasciamo perdere per un attimo i responsi di vendita, il metal (e la musica in generale) è pieno di grandi band che hanno venduto poco e viceversa, dovessimo limitarci al numero di copie vendute Justin Biebier sarebbe l’incarnazione di Mozart e Beethoven. Se c’è una cosa che il rock insegna è che la qualità non è (necessariamente) direttamente proporzionale alla quantità. “Dawn For The Living” è un cazzottone senza tanti permessi richiesti in carta bollata, quando arriva arriva, come il Natale. Il quartetto teutonico scende nell’arena e comincia a menar fendenti, alla maniera che i padri della Patria hanno insegnato loro, ma non solo. A scorrere la scaletta dell’album pare di tornare ai tempi nei quali dischi come “Feel The Fire“, “The Legacy“, “Fool’s Game“, “Doomsday For The Deceiver” deliziavano i palati esigenti dei thrasher del periodo aureo. C’è un retrogusto di scuola americana nei Grinder – più o meno consapevole – che rende il loro sferragliare meno cieco di quello dei giovani Angelripper, Schmier e Petrozza, a tratti fanno capolino persino degli embrioni di melodia, sebbene al minimo sindacale (“Magician“, “Traitor“) o una chiusa sgangherata, alcolica e sorniona come “F.O.A.D.“.

Il suono delle chitarre è realmente crudo, le carni vengono dilaniate come burro (chissà, magari da qui il monikcer Grinder), mentre il drumming di Stefan Arnold, futuro percussore dei Grave Digger (a partire da “Tunes Of War“), bada al sodo, furente e grezzo come l’ardore e l’irruenza richiesti dal songwriting. Lo stesso suppergiù potrebbe dirsi delle vocals di Adrian Hahn, certo non un novello Michael Kiske, quanto piuttosto il guerriero berserk che al comando dell’esercito suona la carica con la voce strozzata in gola per la foga. E’ la Divebomb Records ad incaricarsi della ristampa di questo episodio del thrash tedesco, architettando una deluxe edition con 4 bonus live track e materiale d’archivo vario riguardante il gruppo e dispensato in lungo e largo nel copioso booklet di accompagnamento al cd. Il disco è rimasto introvabile per parecchi lustri, facendo dannare non poco i collezionisti, anche a causa del fiorire di bootleg illegali. Bene, adesso non ci sono più scuse, l’alba dei viventi sta sorgendo (di nuovo), non è il caso di perdersela.

Marco Tripodi

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