Recensione: Dawn Of A Dark Age – Le forche caudine 321 a.C. – 2021 d.C.

Di Costanza Marsella - 7 Ottobre 2021 - 19:38
Le Forche Caudine 321 a.C – 2021 d.C.
Etichetta: Antiq Records
Genere: Black 
Anno: 2021
Nazione:
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“Tertium nullum consilium esse”, ovverosia, non vi è una terza soluzione.

Così lo storico Tito Livio riassume incisivamente l’esito di una delle vicende più note delle guerre sannitiche combattute dagli antichi romani in un periodo compreso tra il 343 e il 290 a.C. Parliamo in tal caso della “battaglia” delle Forche Caudine, in grado di sconvolgere a tal punto la fiera caput mundi da esser ricordata per secoli come vulnus irreparabile della repubblica. Al termine della prima guerra sannitica, i sanniti avevano stipulato un trattato di pace con i romani, e promesso di restare neutrali in caso di battaglie tra i romani ed i popoli vicini. Nonostante ciò, nel 327 a.C, il bellicoso popolo non mantenne la parola, schierandosi accanto ai Palepolitani. I sanniti tuttavia, dopo essere stati sconfitti nel 322 a. C., dovettero soddisfare delle condizioni di resa umilianti: la consegna di Brutulo Papio, additato come iniziatore dell’atto sovversivo e la restituzione dei prigionieri. Venne inoltre ad essi negato lo status di alleati, poiché i consoli romani non si fidavano più di coloro che li avevano traditi. Nel 321 i sanniti scelsero come loro comandante Gaio Ponzio, figura di rilievo nella vicenda delle forche caudine, come vedremo tra poco.

Essi inviarono i loro ambasciatori con il corpo di Brutulo – che nel frattempo si era tolto la vita – senza riuscire ad ottenere la conclusione della pace. Pozio, indignatosi, aizzò dunque, con un discorso accorato- riportato peraltro integralmente da Livio – il suo popolo contro i romani.

Nel corso delle trattative, l’esercito romano si trovava ancora nel Sannio, nei pressi di Calatia. Gaio Ponzio fece stanziare il suo esercito presso Caudio, da dove invio dieci soldati, travestiti da pastori. Costoro avevano l’ordine di farsi catturare dai romani, al fine di riferire loro che le forze sannite stavano assediando Luceria, una città alleata di Roma. Per giungervi i consoli si incamminarono tra le strettoie di Caudio, senza inviare nessuno in avanscoperta, rendendosi conto della presenza di nemici fin troppo tardi. Dopo immani discussioni, i romani decisero di arrendersi poiché l’alternativa consisteva nell’essere sterminati: “Tertium nullum consilium esse”, non esiste una terza via. Gaio Ponzio inoltre, non soddisfatto, impose loro la condizione più gravosa della resa, che avrebbe posto il sigillo di ignominia sull’avvenimento, per i secoli avvenire, dando vita persino al proverbiale “passare sotto le forche caudine”:

«Furono fatti uscire dal terrapieno inermi, vestiti della sola tunica: consegnati in primo luogo e condotti via sotto custodia gli ostaggi. Si comandò poi ai littori di allontanarsi dai consoli; i consoli stessi furono spogliati del mantello del comando […] Furono fatti passare sotto il giogo innanzi a tutti i consoli, seminudi; poi subirono la stessa sorte ignominiosa tutti quelli che rivestivano un grado; infine, le singole legioni. I nemici li circondavano, armati; li ricoprivano di insulti e di scherni e anche drizzavano contro molti le spade; alquanti vennero feriti ed uccisi, sol che il loro atteggiamento troppo inasprito da quegli oltraggi sembrasse offensivo al vincitore.»

(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, IX, 5 – 6)

Vittorio Sabelli, sannita di nascita e cultura, in arte Dawn Of A Dark Age, con la sua ultima release si impegna proprio a trasporre in musica tale avvenimento e, potremmo dire facendo un piccolo spoiler, per dir così, lo fa magistralmente. Anzitutto bisogna ricordare che caratteristica cardine del progetto è l’uso di strumenti tradizionali e non: e qui troviamo, come di consueto, un organico di tutto rispetto comprendente, tra gli altri, clarinetto, viola, trombone euphonium, contrabbasso, tamburello, vibrafono, zampogna, darbuka e mandoloncello.

La prima delle delle due lunghe composizioni della tracklist si apre con un sottofondo atmosferico, alludente ad un esercito in transito con i propri cavalli. Ci troviamo difatti nei pressi dell’accampamento romano presso Calatia, in procinto di essere lasciato dai romani. Il brano, originando quasi da un pianissimo, confluisce poi in movenze da ballo popolare sino all’ingresso delle riffing elettrico e del cantato in growl. Contrabbasso, basso e clarinetto disegnano inoltre interessanti inserti onirici che vanno dal progressive al jazzato. Le componenti che potremmo definire sinfoniche, tuttavia, non vengono messe mai da parte, e ripercorrono da cima a fondo la traccia rendendosi protagoniste, quasi che la componente più marcatamente metal fosse una sorta di accompagnamento. In tal senso Le Forche Caudine più che black può essere considerato come quanto di più folk si possa ascoltare e vivere, nel senso più genuino del termine: riportare in musica le tradizioni della propria terra natia, dar luogo ad un’opera antropologica di recupero delle proprie radici, dalle quali, pur essendo uomini contemporanei – e postmoderni in un certo senso – riemergiamo sempre in qualche maniera. L’intervallarsi di parti in spoken world e sezioni estremamente atmosferiche alle consuete melodie in tremolo picking e stringenti up tempo ritmici, ci fa letteralmente estraniare e seguire con interesse il racconto, quasi che ci trovassimo dinanzi ad un focolare ad ascoltarla.

Proprio in virtù della natura della materia, e del modo in cui si decide di trattarla, ovverosia quasi teatrale, non ci troviamo dinanzi più tracce nel senso stretto del termine ma due atti – ben 19 scene. Ribadiamo dunque sin dal principio che Le Forche Caudine non è affatto un lavoro da poter isolare e parcellizzare in ascolti separati ed indipendenti, bensì una vera e propria esperienza poliedrica ed immersiva che va fruita tutta d’un fiato, abbandonandosi all’immaginario dell’autore. Di più, si ha quasi l’impressione di scorrere un saggio storico ben scritto. Tale impianto, come si legge nella nostra intervista a Vittorio Sabelli (link), di deve all’esigenza di produrre un’opera globale e lasciare l’ascoltatore entrare totalmente in sintonia con le vicende narrate.
L’atto secondo viene dischiuso rabbiosamente, dal momento che si avvicina lo zenit del racconto storico. Vi trovano posto, a testimonianza delle immense cultura musicale ed estro compositivo del mastermind, partiture che non sfigurerebbero in un disco prog rock italiano anni settanta, qui tuttavia totalmente trasfigurati e posti al servizio della sua esigenza narrativa.

Nulla è lasciato al caso o oggetto di tributo fine a se stesso: tutto trova perfettamente il proprio posto, a testimonianza della certosina opera di scrittura qui realizzata, che non ha paragoni nel panorama attuale. Per quanto Le Forche Caudine sia un lavoro realizzato con cura, prodotto in maniera sopraffina e suonato e composto persino meglio, si ha qualche riserva a consigliarlo a chiunque si accontenti di ascolti fugaci e distratti. Pur nella sua bellezza, difatti, l’opera confezionata dai Dawn Of A Dark Age richiede impegno e pazienza per giungere al cuore e rivelarsi come l’esperienza appagante e affascinante che, di fatto, è.

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