Recensione: Dawn On Pyther
È il 2005 quando Hugo Flores, chitarrista, compositore e polistrumentista portoghese già noto per la sua militanza nei Sonic Pulsar e negli Atlantis, decide di dare vita ai Project Creation. Forte del prezioso aiuto di musicisti più o meno conosciuti, questo progetto si propone di raccontare attraverso lo strumento del concept album la creazione -da qui anche la scelta del monicker- e la vita del pianeta Pyther e dei personaggi che lo abitano. Il primo capitolo di quest’opera viene pubblicato nello stesso anno di formazione del gruppo con il titolo di Floating World e racconta la parte iniziale della storia.
In un futuro non ben collocato nel tempo, in un pianeta oramai morente viene costruita una grande navicella spaziale, in grado di trasportare al suo interno un grande numero della sua popolazione. Lo scopo di questa azzardata spedizione è quello di trovare un possibile pianeta su cui ricominciare una nuova vita; la nuova speranza è data da un nuovo mondo disabitato, su cui viene installato un sole artificiale che ne rende in breve tempo possibile la vita. Come un rito arcaico che si ripete nel tempo si sceglie anche di costruire sulla nuova terra anche una grande piramide, con la funzione di rassicurare coloro che la vedranno sul fatto che le persone ancora presenti sul vecchio pianeta saranno presto portate in salvo. Il compito di esplorare i pianeti in cerca di possibili buone condizioni di vita è affidato alle cosiddette “Mechanic Dragonflies”, letteralmente delle “libellule meccaniche”, delle creature artificiali semi biologiche controllate dai comandanti e dagli scienziati.
Il secondo capitolo di questa saga esce nel 2007 con il titolo di Dawn On Pyther e continua a narrare la storia del neo colonizzato pianeta, ribattezzato appunto Pyther, su cui la vita prosegue con un’armonia a dir poco utopistica tra esseri umani, alieni presenti sul pianeta e “libellule meccaniche”. In particolare il racconto si sofferma su una di queste ultime che, affamata di conoscenza, decide di partire per conoscere cosa c’è dietro al mondo che conosce, abbandonando tutte le sue certezze per dirigersi verso l’ignoto, legata da un filo invisibile a Cheops, una sorta di spirito contenuto nella piramide che, a poco a poco prova a sua volta lo stesso desiderio.
Sin dalla bella copertina ad opera di Mattias Norén vengono messi in mostra i due principali temi trattati dal disco: su colori delicati che intersecano tra loro diverse sfumature di verde, blu e azzurro come il pianeta che attrae in modo irresistibile la “libellula meccanica” una ragazza emerge al centro della scena, dotata di due coppie di fragili e trasparenti ali, simbolo allo stesso tempo di natura e di femminilità. Alle sue spalle, la sagoma quasi traslucido di una piramide e i palazzi costruiti su Pyther, che esaltano ulteriormente il contrasto tra la natura e la figura in primo piano.
Dawn On Pyther si apre con un sole che sorge tra i suoni delicati e flautati della title-track che sembrano suggerire la sua graduale apparizione all’orizzonte, nel calore del mattino con cui si sveglia il neonato pianeta. Sopra un grande uso di strumenti musicali come chitarre acustiche ed elettriche, sassofoni, tastiere si intrecciano le linee vocali maschili e femminili, con un risultato di grande effetto che non può non chiamare in causa il cosiddetto “space metal” degli Ayreon, con cui questo album condivide sia l’idea dei testi su tematiche spaziali, sia un approccio compositivo caratterizzato da sintetizzatori e atmosfere rarefatte e lontane. La title-track di apertura è così uno dei momenti più interessanti che questo album offre a chi lo ascolta e alterna con una gran disinvoltura aperture strumentali con il sassofono protagonista che ricordano i Pink Floyd capitanati da Gilmour al rock dalle tinte dark proposto dai London After Midnight di Psycho Magnet.
La successiva Flying Thoughts riprende le sonorità della traccia precedente, in una miscela delicata di tastiere e flauti su cui danza una voce femminile ora dolce, ora aggressiva ed energica; le partiture musicali sono ricche di mordente e di cambi di umore e si trasformano in metalliche e distorte con il passare del tempo, facendo emergere le tinte graffianti delle chitarre elettriche e la forza della voce maschile.
Un difetto presente in Dawn On Pyther sembra iniziare ad emergere con la terza traccia, I Am (The Restless One), ovvero la relativa scarsa dinamicità dei brani, accompagnata da una lunghezza talvolta eccessiva di questi ultimi, che ne rende faticosa l’assimilazione. In questo senso i sette minuti di questa canzone risultano talvolta eccessivamente prolissi nell’ossessiva ripetizione di alcune frasi che, se da un lato trasformano in musica la meccanica successione dei pensieri richiesta dal testo, dall’altro rendono un po’ monotona la prima parte del brano, nonostante gli energici cambi di scena che restituiscono buona parte dell’energia perduta.
Il concept procede con Dragonfly Garden, con la sua introduzione delicata ed evanescente di flauti, arpe e vocalizzi femminili; in particolare appare molto interessante la seconda parte di, suonata con più forza e con l’entrata in scena di diversi, che risolvono in ottimo modo la lentezza dinamica iniziale. Segue The Voice Of Cheope, che non raggiunge di poco i dieci minuti, un brano molto eterogeneo dal punto di vista delle varie parti che lo compongono, unite assieme nel migliore dei modi, con armonia e con gusto compositivo che rende comunque questa canzone orecchiabile sin dal primo ascolto.
La breve strumentale Intermission è un tributo al celebre film di Stanley Kubrick 2001 Odissea Nello Spazio e porta con sé la successiva Sons Of The Stars con i suoi numerosi assoli di chitarra e alcuni passaggi ritmici abbastanza progressive rispetto alla struttura generale del disco. È ora il turno di Growing Feelings, che emerge dal silenzio a poco a poco, con la sua melodia trascinante e orecchiabile, molto gradevole grazie alla graffiante voce femminile, agile nel destreggiarsi tra linee di pianoforte, il quale crea un gradevole contrasto con le marcate distorsioni degli strumenti.
Se Voyage Of The Dragonfly, la penultima traccia dell’album sembra riprendere dal punto di vista musicale alcuni momenti della canzone di apertura e di Dragonfly Garden ampliandoli e abbellendoli, spetta alla chiusura del disco agganciarsi concettualmente al motivo iniziale, Dawn On Pyther. Come se la fine di questo album fosse anche la fine del giorno iniziato da quest’ultima canzone; questa volta il protagonista è il tramonto in The Dusk Of Pyther, dove il sole muore accompagnato da un pianoforte e da un tappeto di tastiere su cui si aggancia una voce femminile che nella seconda parte lascia lo spazio a sintetizzatore e a chitarre graffianti che trasformano il tramonto in qualcosa di oppressivo e inquietante.
In definitiva i Project Creation sono un gruppo che è in grado di produrre musica di qualità, seppur contenga al suo interno qualche piccolo difetto che può rendere talvolta macchinoso e lento l’ascolto per intero del loro materiale. Se Dawn On Pyther non è un capolavoro, è sicuramente un buon disco, che potrà donare molti momenti piacevoli a chi lo ascolta; se vi piacciono gli Ayreon, questo gruppo farà per voi ma, come ha insegnato il gruppo space metal per eccellenza, questo tipo di musica non fa uso di tempi dispari e soluzioni tecniche ostiche. Se cercate questo rimarrete delusi; se volete ascoltare qualcosa che vi tenterà più volte di canticchiarne la melodia, provate con i Project Creation.
Silvia “VentoGrigio” Graziola
Tracklist:
1. The Dawn on Pyther
2. Flying Thoughts
3. I am (The restless one)
4. Dragonfly Garden
5. The voice of Cheops
6. Intermission
7. Sons of the Stars
8. Growing Feeling
9. Voyage of the dragonfly
Part I – Seeking the Unknown
Part II – Visions of a Past Future
Part III – Sardax – The Ocean’s flying freckles
10. The Dusk on Pyther
Musicisti:
Linx – Lead Vocals
Zara Quiroga – Lead Vocals
Paulo Pacheco – Lead Vocals
Alda Reis – Lead Vocals
Vasco Patrício – Guitars
Paulo Chagas – Saxophone, Flutes
Fred Lessing – Miscellaneous baroque recorders, Ethnic flute, 12 string guitar, Classical guitar, Angklung, Percussion, Chimes, Bells
Davis Raborn – Acoustic Drums
Shawn Gordon – Synth solos
Carlos Mateus – Additional Lyrics
Hugo Flores – Vocals, Electric and Acoustic Guitars, Bass Guitars, Synthesizers and samples, additional drum arrangements, Sitar and 12 string emulation.