Recensione: De-Evolution Of Theory
Materializzatosi letteralmente da una dimensione ignota e sconosciuta, Steve Senes approda al debutto discografico sul finire dell’anno appena concluso con un funambolico album interamente strumentale, presentato nella forma – rischiosa e stuzzicante – di un prodotto concepito nella più totale ed incondizionata indipendenza esecutivo-compositiva.
Del biondo lungo crinito chitarrista si conosce, in effetti, pochissimo. Nemmeno beneficiato da una promozione di riguardo che potesse offrire qualche notizia biografica ed un paio di ragguagli relativi ad un passato artistico piuttosto nebuloso, Senes ha forse preferito che a parlare di se fossero estro e maestria tecnica, passaporti universali ed imprescindibili in un cosmo a parte come quello dei guitar hero.
Spulciando in rete, qualche info rivelatrice emerge comunque, lasciando trasparire l’importante caratura del musicista. Acrobata della sei corde originario del South Carolina, oltre ad una notevole somiglianza con il “carnivoro” vocalist dei Masterplan, Jorn Lande, ha nel proprio curriculum un highlight di grandissimo prestigio come la vittoria – nel corso del 2009 – del contest denominato “Guitar Superstar”, festival statunitense riservato ai virtuosi dello strumento più amato della musica rock, presieduto per l’occasione da una giuria extra lusso, composta, tra gli altri, da Jennifer Batten, Steve Lukather, Earl Slick e Greg Hampton, (il celebre produttore di Alice Cooper).
Ovvero, straordinari ed incontestabili intenditori.
Come prevedibile, il capitolo d’esordio di un maestro della chitarra, composto, prodotto ed eseguito in totale autonomia, null’altro può essere che un contenitore proteiforme in cui far convergere tutte le memorie mutuate dalle principali ispirazioni ed esperienze, filtrate attraverso un gusto ed una visione quanto possibili personali. Altrettanto ovvio, trattandosi di un album strumentale nel senso più stretto del termine, indugiare in qualche somiglianza più o meno marcata con alcuni dei maggiori esponenti del settore, inevitabili ed imperativi termini di paragone quando è la sola chitarra protagonista del proscenio.
Va da sé quindi, che chiamare in causa i soliti Vai e Satriani è esercizio quasi scontato e monotono, per quanto non del tutto fuori luogo, e che l’indicare nel tasso tecnico elevatissimo e sopraffino la caratteristica principe dell’opera, è considerazione semplice e lineare. Quasi sconfinante nel banale.
Per somma fortuna tuttavia, l’arte di Senes non vive esclusivamente di luce riflessa ma evidenzia interessanti tentativi di affrancarsi da una natura all’apparenza non troppo sorprendente, imboccando la strada della varietà e della ricchezza di sfumature ed atmosfere.
Coinvolto – a quanto sembra – negli anni precedenti in un buon numero di progetti dalle inclinazioni più disparate, il guitar hero americano infarcisce le proprie composizioni con gran parte delle possibili diramazioni presenti nell’ampio spettro dell’offerta musicale. Dalla fusion al rock sudista, dal jazz alla latina, dall’heavy al progressive, conferendo ad ogni singolo brano una caratterizzazione che ne possa definire contorni distinguibili e peculiari.
Dotato di un approccio ed una velocità esecutiva che potrebbe rimembrare in parte il primo Richie Kotzen solista (quello dell’ellepì omonimo e di “Electric Joy”, per intenderci), ed in parte il magnifico Satriani di “Surfing With The Alien” e “Not Of This Earth”, l’esordio di Steve Senes riesce nell’intento di farsi notare per l’abbondanza di stili differenti, portando in dote una serie di tracce quasi mai legate tra loro da elementi di continuità.
Il risultato, nonostante un profilo compositivo che talvolta ancora non riesce a porsi sullo stesso piano di fruibilità dei già citati Vai e Satriani – strumentalmente inarrivabili, eppure in ugual misura godibili ed adatti anche ad un semplice ascolto privo di speculazioni tecniche – è sinceramente di buon livello e, pur con qualche grossolano passaggio a vuoto, allinea una serie di brani di significativo valore.
Qua e là, all’interno di una tracklist quanto mai variegata, spiccano creazioni decisamente fascinose, tra le quali ottengono una citazione l’evidente omaggio al pluricitato Satriani posto in apertura, “The Swami”, la straordinaria e sentimentale ballad “Ruth”, il selvaggio southern “High & Mighty”, la bucolica “Angel” e l’estiva “Mare Tranquillitatis”, brani nobili di una scaletta cui, va detto tralasciando i facili entusiasmi, non mancano alcuni sprazzi un po’ noiosi e soporiferi, spinti all’eccesso in particolare dall’inutile “Cop Show”, una sorta di intermezzo radiofonico privo di qualsiasi attrattiva.
Un po’ carente in fase produttiva (suoni spesso fangosi e poco brillanti) e non proprio omogeno, il primo album di Steve Senes, è ad ogni modo una buona vetrina che consente di porre in evidenza un abile artista sinora ignoto, del quale, con buona probabilità, sentiremo ancora parlare nel prossimo futuro.
Il disco non è di certo consigliabile ad un pubblico troppo distante dai grandi appassionati di chitarra (qualche sbadiglio è garantito), pur tuttavia, la ristretta audience amante dei guitar hero, potrebbe senz’altro trovare in “De-Evolution of Theory” più d’un motivo d’interesse e soddisfazione.
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Tracklist:
01. The Swami
02. Greaseball
03. Ruth
04. Highball
05. Cop Show
06. Facecheck
07. High & Mighty
08. Colossus
09. Angel
10. Jam Bomb
11. Mare Tranquillitatis
12. The Afterglow
Line Up:
Steve Senes – tutti gli strumenti