Recensione: De Secretis Naturæ Alchymica
H.M.T.
Misterioso acronimo dietro cui si cela il mastermind della one-band man serba di doom Temple Of Gnosis. I cui recentissimi natali (2015) hanno dato il la, sin’ora, ovviamente, a un solo EP (“Mysterivm Magnvm”, 2015) e al debut-album (“De Secretis Naturæ Alchymica”, 2016).
Come suggeriscono i titoli rigorosamente in latino, il contenuto di “De Secretis Naturæ Alchymica”, per quanto riguarda i testi, è fortemente esoterico, basato sulla cosiddetta Esperienza dell’Illuminazione, rappresentativa dei processi di dissoluzione e decostruzione degli elementi spirituali a seguito dei quali ha origine una nuova forma dell’essere.
Testi che s’incarnano nella musica per formarne parte sostanziale, sì da determinare un doom quasi totalmente atmosferico, nel quale, cioè, giocano ruolo primario le parti di tastiera. I momenti in cui compaiono gli altri strumenti, chitarra in primis, sono difatti piuttosto radi, diluiti nei lunghi minuti che compongono le cinque suite dell’album, tenendo presente che “Unto The Earth” e “Absolvtio” rappresentano in pratica un intro e un outro dal mood spaventoso, agghiacciante, alieno. Ideale territorio nel quale H.M.T. possa declamare senza freno le sue orride litanie.
La visionarietà della musica dei Temple Of Gnosis è superlativa, ipnotica, orizzontalmente sterminata. In essa, fra le pieghe dei lentissimi ritmi che si srotolano sotto ai piedi, si scorgono con disarmante chiarezza gli angoli più sperduti dello Spazio profondo. Ove, lontano dal guizzare della luce, i pochi atomi sperduti fra le galassie cozzano contro il nulla della materia oscura. Molto, molto difficile tradurre in parole la sensazione di vuoto assoluto che si prova percorrendo le desolate lande di “Serpentivm”, per esempio, o di “Sol Katharsis”, allucinate proiezioni mentali che si strappano, si dilatano quadrimensionalmente nel tempo e nelle tre coordinate spaziali.
Sebbene, appunto, “Serpentivm” mostri uno schema compositivo abbastanza classico per quanto riguarda il doom, alla fine ciò che stupisce, in “De Secretis Naturæ Alchymica” è proprio l’assenza di qualsivoglia riferimento fisico. Il Cosmo non ha sopra né sotto, è così è per la musica di H.M.T., lisergica amplificazione degli stati più interni dell’animo umano, quelli ancora insondati e che, per questo, possono rivelare universi o addirittura multiversi sconosciuti. Porzioni d’infinito entro le quali possano svilupparsi in libertà, senza vincolo alcuno, i processi di dissoluzione e decostruzione più sopra citati. Anche le linee vocali del Nostro, assimilabili a una sorta di lettura rituale, alimentano l’impressionante e plumbeo incavo cui si è condotti con mano dal medesimo. L’inquietudine regna sovrana, l’istintiva paura per l’ignoto raggiunge vette dall’incalcolabile altezza, il buio fagocita ogni cosa, ogni oggetto, ogni pensiero. L’estenuante lentezza delle battute del drumming artificiale della ridetta “Sol Katharsis” soffoca i sensi, chiude la gola, pressa lo sterno.
Il risultato finale, più che identificare il momento di transizione fra uno stato dell’essere e l’altro, pare disegnare con precisione il nulla che permea la non-esistenza, il limbo senza spazio né tempo che ospita le anime prive di corpo. La trasmigrazione finale, forse, dall’organismo umano alla dissoluzione definitiva, all’oblio senza fine.
Se così fosse, “De Secretis Naturæ Alchymica” è la magnifica, morbida, tenebrosa colonna sonora del trapasso. L’inno della pace eterna, della pace morbosa.
Daniele D’Adamo