Recensione: De Strijdlust is Geboren
Nati nell’estate del 2002 per volontà di Sebas e Paul, oggi chitarra e basso con altri pseudonimi, gli Heidevolk (genti della terra pagana) sono un sestetto con la pura e antica passione per le cose semplici, che trova sfogo nella devozione con cui la formazione olandese canta del proprio amore per la natura e della tradizione pagano-germanica della loro terra, il Gelderland.
Proprio dell’Olanda, per secoli porto di mare del nord Europa, gli Heidevolk imitano la natura cosmopolita, intrecciando e attingendo dalle maggiori tradizioni viking/folk di tutto il vecchio continente. Per le fondamenta della loro musica si affidano alla scuola tedesca, oltre che ai modi norvegesi degli Storm, rievocati in maniera lampante nella prima Krijgsvolk e nella successiva Vale Ouwe. Chitarre in evidenza a dare vita alle linee melodiche semplici e una batteria solitamente cadenzata ed essenziale, che talvolta finisce con l’accelerare in ritmiche serrate quasi black, sono gli stilemi dominanti degli Heidevolk. Per le linee vocali di Boghtdrincker e Splintervuyscht, tutte rigorosamente in olandese, vengono tirati in causa il Vintersorg dei tempi degli Otyg e profondi cori maschili tanto cari a Bathory, Menhir e Odroerir. Il tutto farcito di un gusto per l’antico che si concretizza in passaggi medievaleggianti, al più dal suono tedesco, con flauti, munnharpe e diversi strumenti acustici che trovano il loro apice massimo in En Wij Stappen Stevig Voort, piacevolissima ballata in pieno stile mitteleuropeo, a metà tra un canto da taverna e filastrocca da marcia solitaria. Da segnalare, tra le cose più anacronistiche, l’apertura della marcata e solenne Het Gelders Volkslied, con un flauto dalle melodie quasi alla Falkenbach impegnato a condurre il brano in terreni vicinissimi agli Odroerir. Ancora nello stile delle band di Fix si snodano le due composizioni più lunghe di tutto il lotto, ovvero Gelre 838, Wychaert e Winteroorlog, nonché il tripudio germanico (nei modi e nei contenuti) di Furor Teutonicus. Nei ranghi del folk-metal lento e cadenzato rientra Het Bier Zal Weer Vloeien, dove percussioni minimaliste dettano i ritmi della navigazione, tra gabbiani che volano bassi e un canto di marinai. Per la traccia conclusiva, gli Heidevolk tengono in serbo l’episodio più estremo e violento di tutto il lavoro: Hengist en Horsa. Assalto sonoro immediato, stretto e intenso, di limpida scuola black, alternato a brevi partizioni di più blandi cori maschili che conducono al muro sonoro finale fatto di una batteria fittissima e un riffing di chiara tradizione estrema.
In alto i corni per gli Heidevolk dunque, band olandese dal suono fondamentalmente germanico, che va aggiungersi alla sempre più lunga lista delle nuove promettenti leve del viking folk continentale. Il coraggiosamente autoprodotto ‘De Strijdlust is Geboren’ non è né un trionfo di tecnica e, francamente, nemmeno di originalità, ma i suoi 44 minuti scorrono senza intoppi o passi falsi, mettendo in luce capacità che ben presto potrebbero esprimersi su valori ancora più alti.
Primi in Italia – e talvolta anche nel globo – vi abbiamo messo sulle orme di Korpiklaani, Trollfest, Asmegin, Odroerir, Glittertind… Abbiate ancora una volta fiducia in noi: se amate il genere, non ve ne pentirete.
Tremendamente consigliato agli amanti di Storm, Otyg, Odroerir e Menhir; suggerito agli adepti dei maestri Bathory e Falkenbach, segnalato – ma con avvertimento di ascolto preventivo – ai sostenitori della frangia più estrema della scena.
Tracklist:
1. Krijgsvolk
2. Vale Ouwe
3. Het Gelders Volkslied
4. Winteroorlog
5. En Wij Stappen Stevig Voort
6. Furor Teutonicus
7. Het Bier Zal Weer Vloeien
8. Gelre 838, Wychaert
9. Hengist en Horsa
Alessandro ‘Zac’ Zaccarini